Prensa Publicada

  • Título: Web. Buenos Aires Contemporánea #3.
    Autor: Lavinia Collodel
    Fecha: 29/12/2014
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    Alla Fundación Proa due grandi personali, Fabio Mauri e Cai Guo-Qiang

    In una città dove si fa archeologia quando si parla di saggi architettonici dell’Ottocento, il contemporaneo è uno sguardo al futuro. Che tiene spesso, sottinteso, un nunca màs. Il Tempo è rapido e lento insieme. La città è frenetica, una giornata non basta ad attraversarla, gli autobus investono, e poi tutto si ferma nel rito di un mate al parco, in una biblioteca, in una gita di bambini. I milioni di caffè rallentano le corse quotidiane quasi a trattenere la gente, che si incontri. I giovani hanno lì i loro uffici. E si re-inventano, in continuazione. L’arte e il design si respirano già per le strade. La città pullula di buoni musei, centri culturali e fondazioni: si aprono all’esterno non solo proponendo una continua rotazione di mostre, ma soprattutto incontri e laboratori quotidiani, accessibili a tutti, a partire dal prezzo. E non si parla solo di arti visive, ma anche di musica e letteratura, all inclusive.

    La Fundación Proa è senza dubbio un centro di sperimentazione artistica all’avanguardia e di grande apertura internazionale. Con le sue mostre, incontri e rassegne, è un sicuro punto di incontro e partecipazione, studio e ricerca. Abbracciata dal Riachuelo e il Caminito, in un luogo storico e di sempre viva attrazione, si pone stimolante già dall’esterno. Viene completamente rinnovata nel 2008, dopo dodici anni di vita, dallo studio di Milano Caruso-Torricella Architetti: si tratta di tre edifici contigui sul lungo-fiume, di cui il centrale è mantenuto originale, affiancato da due ali che si aprono all’esterno con facciate in vetro, in un complesso di interni fluidi e intercomunicanti che rendono piacevole, e agevole, la visita. Il 2014 si chiude con due mostre personali emozionanti, dedicate a Fabio Mauri e Cai Guo-Qiang. La prima è già terminata, mentre la seconda è in corso e vede anzi un completamento nella data del 24 gennaio 2015 con un incredibile e infinito spettacolo di fuochi artificiali e coreografie sceniche create dallo stesso artista, in una tipologia tipica del suo operare. Fabio Mauri, artista multiforme e poetico anche nell’interpretare drammi storici e vissuti, viene presentato a tutto tondo in un excursus dagli anni ’50 alla sua morte. Dai primi lavori su carta, agli Schermi, alle sculture che si fondono con le installazioni, fino ai video, in una sequenza affascinante delle sue performance, interpretazioni e spettacoli veri e propri. Tra questi ultimi, è interessante, per la biografia, una sua lettura sul rapporto con Pier Paolo Pasolini, amico e importante compagno di ricerche, e tra l’altro il primo che lo presentò a una galleria. Cos’è il fascismo, del 1971, rappresenta, in una più che performance, una perfetta gioventù fascista, bella, atletica e organizzata; ed Ebrea, dello stesso anno, viene riportata in vita nell’allestimento della mostra con l’installazione dello specchio marchiato dalla croce di David in capelli (ebrei), di crudi oggetti che simulano provenienza umana (pura pelle ebrea), e chiusa a fondale dal successivo Muro Occidentale o del Pianto (1993). C’è inoltre Il televisore che piange, moderno schermo bianco, schermo che è simbolo della porzione di mondo che possiamo vedere, e allo stesso tempo possibilità di inventarsi, di proiettare una continuazione al finale di una finzione o la propria storia – schermo poi ripetuto in sequenza nell’installazione Perché un pensiero intossica una stanza. E ancora, Ideologia e Natura del 1973, che fu riportato alla 55ma Biennale di Venezia del 2013 nel Padiglione Italia, ha qui un tempo scandito dalla voce della giovane che dice a se stessa un perenne NO, “io non voglio, no, non io, non voglio essere fascista”, mentre si sveste della divisa di Piccola Italiana, la piega, si mette a nudo, spogliandosi di ciò che la definiva – per poi rivestirsi. Il Professore – chè molti anni insegnò Estetica a L’Aquila – si è sempre definito insofferente a ogni forma di ideologia e ortodossia politiche e culturali, inserendosi in un ben più ampio ambiente artistico che toccasse ogni forma d’arte, da quello letterario al cinema alle arti plastiche e al teatro. “Gli interessi di Mauri non si limitarono mai solo all’arte, ma al mondo in generale. […] Intellettualmente complessa, l’arte di Mauri non fu mai pensata come discorso dell’arte sull’arte, come testo fuori dal mondo, ma come una scrittura che fa mondo, come corrisponde nell’opera di un artista che vuole essere – e sa di essere – anche un intellettuale” – come si legge in catalogo nelle parole di Giacinto Di Pietrantonio, curatore della mostra. Perché Fabio Mauri è un artista-intellettuale. Umberto Eco, nel suo saggio dal titolo esauriente “Uno smarrimento convinto” a prefazione del libro “Fabio Mauri, ideologia e Memoria” (a cura dello Studio Fabio Mauri, ed. Bollati Beringhieri, Tornio 2012), riporta una breve intervista a Mauri, del 2005, che sintetizza il suo pensiero così: “Io non facevo politica, ma coscienza; è una cosa identica e insieme profondamente diversa”.

     

    Dall’Italia si torna in Argentina attraverso l’Oriente e passando per New York: Cai Guo-Qiang è un vero ponte transculturale che si immerge nell’anima di un Paese per costruire una propria storia. Si è definito un seme che vola nel vento, che ogni volta che si ritrova a terra si nutre della stessa terra locale, e in lui/da lui nasce qualcosa di nuovo. In occasione della mostra Impromptu (Improvvisazione) ha lavorato a un progetto specifico, invitato dalla Fundación Proa. Ha visitato più volte la Capitale, per viverne l’atmosfera della tradizione del tango. Rituali e movimenti vengono esposti non solo nella serie di carte che danno il nome alla mostra, ma anche nell’installazione La vida es una milonga, dove figurine di ceramica danzano sospese al suono di carrillon appesi su sedie al soffitto. Dato che è l’esperienza diretta che alimenta il suo operare, Cai ha viaggiato al Nord, da Iguazù a Salta, per assaporarne usi e costumi, conoscendo e frequentando la gente del posto. Poi ha armato un vero e proprio laboratorio a Buenos Aires, coinvolgendo studenti d’arte: durante l’intenso lavoro di équipe si è creata un’energia forte, proprio ciò che Cai vuole trasmettere ai ragazzi, in un’esperienza collettiva, per portare avanti la sua indelebile firma, una pratica artistica esplosiva – perché di questo si tratta, questo è il suo medium caratteristico. In mostra ci sono principalmente opere di grande formato, che rievocano in ombre quasi oniriche le sensazioni provate dall’artista in Argentina, e tradotte su carta. L’uso della polvere da sparo dà ampie possibilità formali, con l’incognita del processo di combustione, che ha in sé un’impronta spontanea e non totalmente controllabile. “Mai in trent’anni mi sono bruciato tanto come ora”, azzarda, sorridendo, l’artista durante la presentazione del suo modus operandi. La ciudad del sueño eterno, Centinelas del Valle Encantado, Agua Grande, Rastros de enredadera: questi alcuni dei titoli. Si parte da un’immagine vissuta, per esempio nella piana del Parque Nacional de los Cardones, tra Salta e Cachi, nell’altissimo Nord-Ovest andino. Stele (o meglio, sentinelle) a uno o più bracci si allineano in una frequenza cardiaca di un’ambientazione arida, secca, assolata, tanto assolata da dare il miraggio di aureole sulla testa dei cactus. È una sensazione indimenticabile, che si ritrova forte e viva qui. L’artista si rivela profondamente colpito da tale poesia, ma ancora più commosso nel ricordo della vicinanza con le persone che ha conosciuto nel percorso. Da antico calligrafo, seppure informale, traccia una trama, percorrendo le grandi carte, camminandoci sopra, in piedi. Tagliando l’immagine ne esce uno stencil, che mantiene sotto di sé la carta finale: cosparso di polvere da sparo in diverse sfumature, il tutto viene coperto e protetto da pesi, in preparazione all’esplosione. L’accensione della miccia è un momento delicato tanto quanto l’abilità nel rimuovere le protezioni e spegnere con delicatezza i focolai sull’opera. L’opera è accesa, bruciata, vissuta, e viva. Info: www.proa.org



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  • Título: Diario. Imperdibles. Arte bajo las estrellas.
    Autor: Revista Ñ
    Fecha: 15/11/2014
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    Los museos de la ciudad ya no duermen. 15 de noviembre. de 20 hs a 3 de la madrugada distintas sedes- CABA- gratis

    Más de 200 museos y espacios culturales públios y privados participarán de La nOche de los Museos, que en su última edición fue visitados por 750 mil vecinos y turias. La joya de esta noche, y última chance de verla es la exposoición del italiano Fabio Mauri en La Boca, en la Fundación Proa (Av. Pedro de Mendoza 1929Ç). En Belgrano, se expondrá la excepcional "Goya y Dalí. Capricho surrealista", mientras que también habrá muestras interesantes en el Museo Larrega (Juramento 2291) y en San telmo con las siete bellas exhibiciones alojadas en el MAMBA (SAN JUAN 3050) pasando por Barrio Norte, en donde el Museo R. Rojas (Charcas 2837) exhibirá su patrimonio www.lanochedelosmuseos.gob.ar



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  • Título: Diario. Imperdibles. Arte bajo las estrellas.
    Autor: Revista Ñ
    Fecha: 15/11/2014
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    Los museos de la ciudad ya no duermen. 15 de noviembre. de 20 hs a 3 de la madrugada distintas sedes- CABA- gratis

    Más de 200 museos y espacios culturales públios y privados participarán de La nOche de los Museos, que en su última edición fue visitados por 750 mil vecinos y turias. La joya de esta noche, y última chance de verla es la exposoición del italiano Fabio Mauri en La Boca, en la Fundación Proa (Av. Pedro de Mendoza 1929Ç). En Belgrano, se expondrá la excepcional "Goya y Dalí. Capricho surrealista", mientras que también habrá muestras interesantes en el Museo Larrega (Juramento 2291) y en San telmo con las siete bellas exhibiciones alojadas en el MAMBA (SAN JUAN 3050) pasando por Barrio Norte, en donde el Museo R. Rojas (Charcas 2837) exhibirá su patrimonio www.lanochedelosmuseos.gob.ar



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  • Título: Diario. Puro talento en contra de las ideas tiránicas.
    Autor: Paula Conde
    Fecha: 05/11/2014
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    Quedan pocos días para ver la obra de Fabio Mauri, gran artista italiano que desarrolla en esta muestra una crítica a las ideologías totalitarias de la Europa del siglo XX.

    Artista e intelectual italiano, Fabio Mauri (1926-2009) tiene una historia de vida que bien podría haber contado en cine su amigo Pier Paolo Pasolini. Nació en pleno auge del fascismo italiano y, si bien su familia no adhería al régimen, en ese momento, era difícil criar a un chico en el antifascismo. Cuando terminó la Segunda Guerra Mundial y muchos de sus amigos judíos habían desaparecido, cuando vio las imágenes del horror, las de los campos de concentración, Mauri entró en shock. No es una manera de decir. Quedó verdaderamente golpeado, se internó en un manicomio y estuvo al menos dos años sin pronunciar una sola palabra. Así recordó su historia Iván Barlafante, asistente de Mauri durante veinte años, quien hace poco estuvo en el país y en la Fundación Proa. Por eso, la obra del italiano allí expuesta expresa una crítica a las ideologías totalitarias y se puede ver hasta el 16 de noviembre (de martes a domingos de 11 a 19, en Pedro de Mendoza 1929, $20).

    “¿Por qué un pensamiento contamina una habitación?” es un conjunto de 36 pantallas en blanco, con frases en alemán escritas en letra gótica. La gran habitación vendría a ser Europa, contaminada por el pensamiento nazi. En el medio de la sala, se levanta el “Muro del llanto o de los Lamentos”, de 1993, en la que un muro de viejas valijas y bolsos representan a los deportados a los campos de concentración, pero también a los emigrados por uno u otro motivo ideológico.

    Detrás del muro, frente a un pequeño espejo, una mujer desnuda, con la estrella de David dibujada en el pecho y el número de prisionera tatuado en el brazo, se corta mechas de pelo que pega en el espejo para formar otra estrella de David. Esta performance, que se vio por primera vez en 1971, se reeditó en Proa. Ahora, sólo queda el espejo con la estrella. La otra performance de gran impacto es la de “Ideología y Naturaleza”, de 1973, en la que una joven vestida con las ropas de la “Juventud Fascista”, se viste y se desviste, una manera de investirse y despojarse de ideología al mismo tiempo. También se reeditó en la Fundación y, por estos días, queda una videoinstalación en tamaño real.



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  • Título: Web. Fabio Mauri por primera vez en Buenos Aires/Fundación Proa
    Autor: Martha Dicroce.
    Fecha: 30/09/2014
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    Cuando el arte toma partido. 

    Por primera vez se realiza en Sudamerica una muestra que incluye mas de 60 obras del artista. Podrá verse hasta comienzos de noviembre en la Fundacion Proa en Buenos Aires.

     

    La Fundación Proa de Buenos Aires presenta la primera exhibición de Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) enSudamérica, una muestra que abarca más de 60 obras que permiten indagar en el análisis del lenguaje del artista italiano a través de sus instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas.

    Caracterizada por su compromiso político y social, la obra de Mauri se presenta tan independiente de grupos o movimientos como compleja y rica en expresiones y recursos estéticos.

    Sus obras “¿Qué cosa es el fascismo?”, “Ebrea”, “Ideología y naturaleza” y “El muro occidental” dan cuenta de su crítica a las expresiones totalitarias, del impacto del Holocausto y de su arraigado sentido de desconfianza hacia los sistemas políticos europeos.

    El curador de la exposición “Fabio Mauri: No era nuevo”, Giacinto Di Pietrantonio, destacó que es “en ese territorio lingüístico contagiado de ideología que se mueve el arte de Mauri, que intenta desmontar los mecanismos de manipulación propios de cada ideología”.

    El arte de Mauri, quien tituló uno de sus libros “El lenguaje es guerra”, es “intelectualmente complejo, no fue nunca pensado como discurso del arte por el arte, como texto fuera del mundo, sino como una escritura que hace mundo, como corresponde a la obra de un artista que quiere ser —y sabe que es— también un intelectual”, señala Di Pietrantonio en su presentación curatorial.

    Según el curador, en la concepción de Mauri, “el artista es un intelectual en el sentido benjaminiano, en tanto no se presenta románticamente solo y perdido frente a los poderes del mundo, sino que tiene responsabilidades frente al mundo, y es parte de él. El arte del intelectual debe plantear preguntas y buscar respuestas, y tomar partido”.

    La exposición, que se realiza con apoyo de la Embajada de Italia en la Argentina, permanecerá hasta noviembre. Simultáneamente, y con el mismo curador, tiene lugar la exhibición “Lo clásico en el arte”, organizada por Proa conjuntamente con la la Accademia Carrara de Bérgamo y el Museo de Calcos de Buenos Aires.



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  • Título: Diario. El eterno retorno de la vuelta a los clásicos
    Autor: Daniel Gigena
    Fecha: 26/09/2014
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    ¿Qué tienen en común Abbas Kiarostami, Kiki Smith, Miguel Ángel y el artista multimedia Sam Durant? Curada por Giacinto Di Pietrantonio y organizada conjuntamente con el Museo de Calcos de Buenos Aires, la Academia Carrara y la Galería de Arte Moderno y Contemporáneo de Bérgamo, Lo clásico en al arte rastrea en Fundación Proa ciertos motivos que perforan la historia del arte occidental y que podrían emparentar, en un conveniente movimiento retrospectivo, a artistas de distintas épocas.

     

     

    El cuerpo como vehículo de sentidos religiosos (del que La piedad sería un emblema), el retrato como dador de prestigio y, por esa razón, factor de usos revolucionarios (como los bustos en mármol de un grupo de anarquistas italianos hecho por Durant, rodeados de réplicas de las cajas que contenían la dinamita para sus acciones) y la estética del fragmento como vértice de la modernidad artística y de la participación plena del público (lo que deconstruye la noción de autor de una obra) son algunas de las entradas posibles a la nueva exposición de Proa.

     

    Si bien la muestra, al plantear contrapuntos con calcos y copias de obras de los siglos XVI y XVII, produce la impresión de que se está recorriendo un bazar del arte de Occidente, ese efecto se atenúa por la magnitud del montaje de las piezas contemporáneas. La instalación de la Sala 2, con las máscaras de goma tan sugestivas como (en una segunda mirada) aterradoras de Alfredo Pirri; los óleos sobre cinc de Valerio Carrubaen los que una maraña de cabello anula los rostros de los retratados o las obras de Vanesa Beecroft y Michelangelo Pistoletto (una Venus ante un montón de jirones de ropa apilada, en la Sala 3) provocan una estimulante ambivalencia. Al final del recorrido, Shirin, el film de Kiarostami, registra a los espectadores durante una proyección imaginaria: el público, figurado en rostros femeninos atentos y dúctiles, desplaza el centro de la obra y toma su lugar. Lo clásico, según el curador de la muestra, se perfila como una instancia del arte contemporáneo, un material incombustible y ya probado en su eficacia que genera, mediante usos perturbadores y nudos conceptuales con la historia y la política, sentidos insurrectos.

     

    También curada por Di Pietrantonio, Fabio Mauri constituye un panorama antológico de la obra del artista italiano (1926-2009) y, sobre todo, una carta de presentación de una figura casi desconocida en la Argentina. Artista complejo y ambicioso -sus trabajos oscilan entre la instalación a gran escala, el teatro de objetos, la pancarta, el video y las performances-, Mauri desmonta los mecanismos de la ideología a través del lenguaje (como en No era nuevo, el felpudo que presentó en la Documenta de Kassel 2012), los objetos cotidianos (la serie de jabones con nombres de los campos de concentración nazis) y las lúcidas y desalentadoras reflexiones de sus videos y performances, como El Muro Occidental de los Lamentos y ¿Qué es el fascismo?

     

    La triple propuesta de Proa se completa con Final del juego (enésimo homenaje a Julio Cortázar), en el Espacio Contemporáneo del último piso, con obras de Alexandra Kehayoglou, Guillermo Rodríguez y Luciana Rondolini curadas por Laeticia Mello.

     

    Ficha. Lo clásico en el arte, Fabio Mauri y Final del juego en Fundación Proa (Av. Pedro de Mendoza 1929), hasta noviembre.



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  • Título: Web. Fabio Mauri en Fundación Proa
    Autor: Curso Básico de Fotografía
    Fecha: 25/09/2014
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    Un panorama antológico de la obra de Fabio Mauri, por primera vez en Sudamérica, en un conjunto de más de 60 obras que profundizan los diversos usos del lenguaje artístico:  instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas. Acompaña la exhibición  la proyección en el auditorio de sus obras y documentación en video.

     

     

    Dueño de una obra singular y comprometida de original carácter, imposible de encolumnar como parte de un movimiento, la exhibición reúne obras que confirman esta imposibilidad de clasificación y presenta la riqueza de lenguajes estéticos y recursos, como también el uso de los mismos en su compromiso político social.

     

    Las performances ¿Qué cosa es el fascismo?, Ebrea, Ideología y naturaleza, y la notable obra El Muro Occidental o de los Lamentos, componen un panorama reflexivo y desolador. Su aguda crítica a las ideologías totalitarias, las huellas vivas del Holocausto, y el compartido sentimiento de desconfianza y rechazo frente a la consolidación de los sistemas europeos, están presentes en la exhibición.

     

    Como señala el curador Giacinto Di Pietrantonio: “En ese territorio lingüístico contagiado de ideología se mueve el arte de Mauri, que intenta desmontar los mecanismos de manipulación propios de cada ideología”. O, como sintetizaba el propio artista en el título de uno de sus libros: “El lenguaje es guerra”

     

    FELPUDOS En el fondo, los felpudos son la última metamorfosis posible de la pantalla. Es como si en sus últimos años, Mauri volviese a una idea de pantalla modificada. Del “THE END” inicial, retoma más tarde el trabajo sobre las palabras y lo intensifica. Elemento de pasaje, en 1994 aparece una obra con la inscripción Questo quadro è ariano (“Este cuadro es ario”), que repite la estructura de laprimera pantalla, con el bastidor visible. “El espacio en el interior del bastidor es un espacio convencional que permite la convivencia entre cada uno de nosotros y el Rapto de las sabinas”. Lo zerbino ariano (Estudio Bocchi, Roma, 1995), constituye una suerte de contracara de la macabra colección de objetos de Ebrea. En esta obra, en efecto, el artista identifica y verifica una posible forma de diseño en caso de una hipotética victoria del nazismo. Aquí, la inscripción ha sido pirograbada y guarda las marcas del fuego. Para la muestra en la Isola degli Armeni, en Venecia, 2001, Mauri realiza el felpudo L’ospite armeno, y en vez de escribirlo lo perfora: la frase que da significado al felpudo ya no está escrita, superpuesta, sino que forma y contenido se han vuelto inseparables. En 2008, cuando expone en Turín Lo zerbino insolubile, Mauri ya ha individualizado el tema, y lo pone: lo que el felpudo lleva en sí es la falta de solución. Se trata del primer felpudo que no es un ready-made, y la frase nace cuando nace el propio objeto. Lo zerbino insolubile es el primero que nace con la frase connaturalizada, y conserva todavía, en cierto sentido, un aspecto descriptivo, ya que la frase es el propio título de la obra. Más adelante, el artista superará esa nostalgia. En noviembre de 2008, para la primera sala de la muestra L’insolubile en la Galleria Martano, de Turín, Mauri proyecta una inscripción en el piso, como una alfombra de palabras, mientras que en las paredes debía aparecer Manipolazioni di Cultura, la obra que revela lo que la pantalla vela: el nacimiento y formación de los procesos culturales e ideológicos. La inscripción prevista es “Fabio Mauri está por ahí”: siempre cerca, aunque nunca exactamente aquí. A último momento, la obra no fue realizada. Se muestra, en cambio, Lo zerbino insolubile. Lo “irresoluble” que también da título a la muestra da cuenta de una falta de solución, pero alude también a un núcleo duro, algo que no puede ser licuado, que permanece idéntico a sí mismo. “El felpudo separa como si fuese un muro”. Por lo tanto, el felpudo es también equivalente al Muro d’Europa que parte en dos la barca de madera (Fondazione De Appel, Amsterdam 1979), o sea el muro que ha partido en dos a Europa, la escisión sutil y profunda que signa a la cultura europea tras el humanismo y el deshumanismo, esa pared interior que divide al propio yo. En esa misma muestra, L’indisolubile, se encuentra también una imagen en el piso, extraida de una escenografía de Erwin Piscator, el teórico del teatro político. Se trata de una imagen que al propio artista lo ha “deslumbrado desde chico”. El piso a transitar sustituye la vista. Los felpudos son pisados, experimentados bajo los pies, como una superficie lunar hecha de polietileno. Recordemos que en Che cosa è il fascismo, la acción se desarrollaba primero sobre una alfombra, un fragmento de piso que una vez levantado, podía transformarse en la mesa que sirve de escenario para Che cosa è la filosofía. La idea de esos trabajos sobre el piso vuelve en 2007, con la muestra Not Afraid of the Dark en el Hangar Bicocca, de Milán. Allí no asistimos a una proyección, sino que la habitamos. Inverosimile, título de la obra, representa el éxito de aquel recorrido que, iniciado fuera de la pantalla, nos ha conducido en la Luna a traspasar el umbral, y luego a su interior con las Proiezioni. Se ha rodeado de imágenes y compenetrado con la luz, el gesto, la estructura, proyecciones y reflejos. Si el sentido de Inverosimile es el de estar en el interior de las imágenes, el de los Zerbini es el de estar dentro del pensamiento. También en la muestra L’universo d’uso, de 2008 en Roma, sobre el piso se colocaron inscripciones sobre las que caminaban los espectadores. Al caminar sobre uno de los felpudos, uno no puede sustraerse a estar dentro de su significado. “El felpudo-obra Lo zerbino insolubile, más que un felpudo es exactamente un rompecabezas, que al mimetizarse con aparente inocuidad con un objeto de uso doméstico (estamos acostumbrados a los felpudos con frases optimistas), esconde un enigma de difícil o casi imposible solución –o sea, irresoluble–, porque no nos da un apoyo visible que permita adivinar la solución. ¿El felpudo-rompecabezas es irresoluble porque la solución está escondida o porque no la hay?” (Vittorio Urbani). Los felpudos presentan una selección de frases, breves aforismo, síntesis del pensamiento del artista, reflexiones como  L’universo, come l’infinito, lo vediamo a pezzi (“El universo, como el infinito, se ve de a pedazos”), de su obra de 2009, Amore e Psiche. “Los felpudos con las letras escarbadas al punto de atravesar hasta el otro lado, o los muros con grafías tatuadas sobre la superficie de yeso, se convierten en lenguaje y en vehículos de la comunicación” (Martina Cavallarin). En la muestra Fabio Mauri, etc., proyectada por el artista pero inaugurada póstumamente en la Galleria Michela Rizzo, en 2009 en Venecia, además del precedente Lo zerbino insolubile, se exponen otros felpudos: Forse l’arte non è autonoma; Non ero nuovo; L’arte fa perché è storia e mondo; Nessun segno particolare di cultura è fuori da un testo generale storico, e nessun testo generale storico o interpretazione di mondo è fuori dall’enigma più generale dell’universo. Esta última frase (“Ningún signo particular de la cultura está fuera de un texto de historia general, y ningún texto de historia general o interpretación del mundo está afuera del enigma más general del universo”), expresa mejor que nada la operación ideológica de Mauri. (Laura Cherubini, 2012)

     

    EBREA Paralelamente a Che cosa è il fascismo, Mauri prepara una performance completamente distinta. Ebrea está ambientada en el interior de una inquietante instalación y es presentada por primera vez en 1971 en Venecia, en la galería Barozzi, y luego es repetida en varias ocasiones, aunque no siempre con la presencia de todos los elementos. Una figura femenina habita un pequeño espacio organizado como el museo de un campo de concentración hecho de objetos-esculturas que, en palabras de Maria D’Alesio, “simulan una procedencia humana”. Aquí la performance se combina con la instalación que Maurizio Calvesi defino como “un inventario de silencios y de trágicos ultrasonidos”. Uno de los aspectos más interesantes de la obra es que también constituye un escalofriante ejemplo de corrosivo análisis crítico del design: “Obstaculiza el escape de la seguridad laica del design contemporáneo, tan confiado en el progreso”, según palabras de Mauri en el texto que acompaña la muestra. En el centro del espacio acampa un Caballo de S.S. enjaezado con Arreos de piel judía y rodeado de otros objetos: Cochecito judío realizado con la familia Modigliani 1940; Zapatos verdaderos de Anna Cittterich de Varsovia, realizados con ella misma; Guantes de esquí realizados con Oswald y Mirta Rohn, capturado en Davos-Brzezinka – Ospedale Maggiore; Cepillos, pigmentos orgánicos y pergamino judío – Oswirgin. Birkenau en 1940; Jabón de verdadero cebo judío; Silla de piel judía – Nuremberg 1941; Samuel Morpurgo, primero huésped del campo de Treblinka, en el mismo marco, realizado por Attila Rengstorf – Treblinka 1943; Ippolito March; Raqueta negra; Priscilla-guante; Valija judía; Joyero-Laiback; Familia judía. Frente a un Casillero con espejo, tijeras y una máquina de cortar pelo Haarschneidemaschine, está la joven desnuda, que se corta mechones de cabello y con ellos compone sobre el espejo la imagen de la estrella de David, escrita también sobre su pecho junto al número que en los lager nazis sustituía el nombre, y con ello, todo signo de identidad. La estrella de David aparece también amplificada tres veces sobre las paredes alrededor de una frase en hebreo del profeta Jeremías: “Un clamor se ha oído en Ramá, mucho llanto y lamento: es Raquel que llora a sus hijos, y no quiere consolarse, porque ya no existen”. Es la banalidad del mal puesta en escena a través de una macabra recolección de objetos. Entre ellos, la valija alude a una identidad más inestable, en peligro, amenazada. La pared de valijas presentada en la Bienal de Venecia de 1993 (en el marco de una nueva propuesta de Ebrea), retoma el tema de las dramáticas divisiones del mundo ya presentado en Muro d’Europa. La instalación está claramente ligada a la trágica historia judía, como no sólo lo indican el título, Muro Occidentale o del Pianto y los indicios de las imágenes de Ebrea dentro del único baúl abierto, sino también la biografía del artista, por la tragedia de sus amigos que partieron para nunca más volver. Sin embargo, la obra se convierte en un emblema universal de toda migración, de todo exilio, de todo “dolor del mundo”.

    Si Ebrea, con la figura femenina sola entre objetos mudos, es una melancólica performance de la soledad, Che cosa è il fascismo y de Gran Serata Futurista 1909-1930, son performances de la multitud, donde el acento está puesto en el aspecto público y menos íntimo, donde la marca es la vitalidad (real en la segunda, aparente en la primera), donde no sólo muchos performers atiborran la escena, sino que muchos colaboran. Una solitaria figura femenina es la protagonista de Natur e cultura, presentada en la Galleria 2000, de Boloña, en 1973, y luego vuelta a representar varias veces bajo el título de Ideologia e natura. (Laura Cherubini, 2012)

     

    PANTALLAS “Desde el principio, el mundo me ha parecido una enorme y sólo parcialmente descifrada proyección. El objeto-símbolo de este estado de cosas, de este modo de ser nuestro frente a la realidad, es la pantalla… Nosotros no vemos toda la realidad posible… vemos porciones del mundo, aquellos que nuestra cultura nos permite distinguir y en ver… La pantalla es aquello sobre lo que el hombre representa figuras y cuerpos, pero también sentimientos y pensamientos invisibles… Nosotros vemos en pantallas, a través de tecnologías como la del cine, la fotografía, etc… La primera pantalla está dibujada, una hoja de dibujo blanca rodeada con un marco negro se convierte en otra cosa distinta de sí misma, se convierte en luz y oscuridad, un espacio que pierde el signo del dibujo; una pantalla de papel protuberante más pequeña (1958) parece un televisor; otra pantalla protuberante es un monocromo negro… la pantalla es algo inicial, una superficie lista para acoger imágenes y significados…”

     

    Hacia fines de 1957, Mauri realiza el dibujo sobre papel que constituye su primera “pantalla”. A través del simple gesto de pintar un marco de tempera negra sobre una hoja blanca y de ponerle el título de “pantalla”, Mauri parece admitir que el cuadro es la primera forma de una pantalla. A fines de la década de 1950 y principios de la de 1960, el arte europeo se caracterizaba por el monocromo, nacido de la voluntad de superar la informalidad y de las tensiones para avanzar hacia un grado cero de la pintura. “El monocromo, o sea pintar la superficie de una tela o de un objeto de un solo color, es un intento taxativo de reducir el espacio expresivo convencional y el mundo de la imaginación al arte de la pintura”, escribe Mauri. “La pantalla no es un monocromo, sino dos. Tan parecido al monocromo, incluso idéntico, la pantalla es la segunda forma o categoría más practicada, deliberadamente o no. No es un monocromo. En sentido estricto, no recubre de sí al mundo, ni es una materia a la cual lo reduce. Su intento, mínimo y mesurado, es el de contener el mundo velándolo…”. A todos los efectos, la pantalla es una nueva y verdadera “forma simbólica” del mundo, y Mauri acepta este hecho de manera inmediata.

     

    “Después del primer Disegno, en 1958 y 1959, Mauri desarrolla una serie de pequeñas pantallas con partes plateadas, todas de las mismas dimensiones (62 x 45 x 5 cm aproximadamente). Aquí el artista también le apunta al televisor, vale decir, el objeto físico que contiene y revela el flujo de imágenes subrogantes de la realidad… Los primeros de estos trabajos fueron realizados con hojas de papel extra fuerte en formato A1, puestas sobre un bastidor protuberante. Como el papel mojado y estirado sobre el bastidor se rompe con facilidad, el artista experimenta también con el uso de cartón, y luego con tela de algodón. La tela es a veces rústica, y en esos casos conserva una transparencia similar a la del papel. En la parte superior de la obra, se percibe una forma rectangular de ángulos romos que emerge del nivel bidimensional del bastidor y que recuerda el borde de una pantalla. El papel o la tela de la parte inferior del cuadro está generalmente estirada y lisa, pero también hay algunas “pantallas”, llamadas “bolsillo” en el cine, donde se evidencia un pliegue en la parte inferior” (Carolyn Christov-Bakargiev). Es interesante señalar que en las postrimerías de la década de 1950, el artista trabaja al mismo tiempo en monocromos más rigurosos, casi estructuras del vacío, y en ensambles de objetos (Cassetto, 1959-60). Cada vez más, su obra evidencia la posibilidad de la pantalla de albergar elementos de cualquier tipo, como puede verse en los ejemplos de mayores dimensiones, que por lo general están subdivididos entre la parte superior velada, y una inferior plagada de objetos. A partir de 1964, la pantalla, como verdadero lugar virtual de posibilidades, albergará cada vez más elementos figurativos (Sinatra, 1964). Pero la pantalla seguirá apareciendo en muchas ocasiones y con la inscripción “THE END”, “porque en mi mente, la pantalla se había transformado en testimonio de la historia, en una especie de espejo opaco, pero capaz de retener las proyecciones del mundo y de contenerlas…”. En 1960, cuando la revista Appia Antica públicó una pantalla con la inscripción “THE END”, Emilio Villa señalaba: “Con su película, el pintor narra una materia tan lábil que no resiste contacto con la vida, y a partir de ahí, un maltratado gesto de ira, la cruz, como decir THE END”. Al respecto, Carolyn Christov-Bakargiev comenta: “La pantalla es, de hecho, un contenedor vacío de cualquier película posible, y es sobre la pantalla que la proyección ya ha ocurrido”, y subraya que la idea de que “ya ha ocurrido” queda clara con la inscripción “THE END” o “FINE”, al punto de convertirse en una marca de autor del artista. Parece evidente que si de una parte Mauri participa plenamente de la tendencia general al monocromo, por otra parte, sobrepasa esa instancia, ya que se abre, como verdadero pionero con toda su multiforme obra, a la dimensión futura del universo mediático. Poco tiempo después, de hecho, con el cine, la televisión y las computadoras, toda nuestra vida empezó a pasar por el formato de una pantalla.

    DIBUJOS La primera fase de la obra de Fabio Mauri se inscribe en la segunda mitad de la década de 1950, y en esa etapa ya están presentes los núcleos fundamentales de su posterior evolución artística. Desde sus primeras muestras, se manifiesta su inclinación por un lenguaje pictórico expresionistas (Galleria del Cavallino, Venecia, 1954; Galleria Apollinaire, Milán, 1955). Las primeras reseñas sobre su obra hablan de “confusión”, e identifican, aunque como algo negativo, uno de los rasgos fundamentales de la obra de Mauri: el de reunir los aspectos contradictorios de la realidad, que es el verdadero origen de la idea que tiene Mauri del collage como esencia intrínseca de la pintura. Al presentar la muestra de Mauro en la Galleria Aureliana de Roma, en 1955, su amigo, el poeta y cineasta Pier Paolo Pasolini dice en cambio que la “contaminación” es un elemento esencial, y hace referencia al expresionismo. Para Mauri, una Europa que todavía piensa en alemán debe arreglar cuentas con su profundo y arraigado expresionismo. Todavía se escribe y se dibuja al modo expresionista, y hasta el cine sigue hablando en un lenguaje expresionista. Pero incluso la performance y todo el arte del comportamiento serán, para Mauri, expresionismo puro, al punto que uno de sus performances, en la cual un esquiador se desplaza por el piso de un museo realizando dibujos que luego va dejando caer, se intitula L’Espressionista. Los temas, de orientación religiosa, social y política, prefiguran los temas futuros. En 1956, en la vidriera de la galería romana L’Obelisco, Mauri ve un libro con imágenes de Alberto Burri y comienza a reflexionar sobre el uso de elementos de la realidad contemporánea. A partir de entonces, en sus dibujos y collages –como Hellzapopping, un incongruente ensamble de collage, action-painting y signo–, empiezan a aparecer persones de historietas como Flash Gordon y Popeye, a veces en fragmentos que componen el collage, a veces dibujados por el propio artista. Mauri le encarga los dibujos en fotograma de “Braccio di ferro” a un historietista. Mauri recuerda que sus primeros intentos de dibujar historietas datan de 1934, después de haber visto Flash Gordon, y que hacia fines de la década de 1950, se descubrió “feliz de haber vuelto a dibujar historietas nuevamente”. El mundo al que se refiere el artista, según escribe Carolyn Christov-Bakargiev, “es ya aquel de las imágenes mediadas de la historieta impresa; se trata ya de un mundo televisivo y cinematográfico, imágenes-signos de la incipiente cultura de masas de la civilización contemporánea”. Según la autora, además de adelantar en el año de 1960 el uso de objetos dentro del collage que Jim Dine recién usará en 1962, Mauri es también un pionero del uso de la historieta: “Los primeros usos de la historieta en el arte norteamericano aparecen con las alusiones a Dick Tracy y a Annie la Huerfanita en el happening de 1961 de Red Grooms. Si bien Lichtenstein ya usaba la historieta redibujada a la manera expresionista desde 1958, su primera y verdadera historieta data de 1961, al igual que los primeros Dick Tracy de Andy Warhol, collages de pinturas y de pedazos de historietas impresas, que son de 1960, y por lo tanto, posteriores a la obra análoga de Mauri”. El signo negro es usado como lenguaje que construye una narración y alude ya a un universo mediático. El horizonte es aquel de la iconosfera urbana. Emilio Villa, gran figura intelectual de la Roma de la década de 1950, publicó en el segundo número de la revista Appia, de 1960, algunos dibujos-collages de Mauri de 1959, y otros más aparecen ese mismo año en el volumen Crack, con texto de Cesare Vivaldi. The End, de 1959, aparece partido en dos zonas: la superior, donde el signo se vuelve tachadura, y la inferior, donde aparece escrito “THE END” (la misma frase ya aparecía escrita en un dibujo de 1957). Este dibujo representa un momento muy preciso de pasaje hacia el ciclo de las Pantallas.



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  • Título: Revista. Artes Visuales. El amigo de Pasolini. .
    Autor: Victoria Verlichak
    Fecha: 20/09/2014
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    La colaboración del director italiano es fundamental en las creaciones de Fabio Mauri, el artista de la imagen cuya obra se exhibe por primera vez en Proa.  Tres exposiciones en Fundación Proa representan integración y fusión entre lo antiguo y lo nuevo, como en “Lo Clásico en el Arte” y “Fabio Mauri”, que transita la relación entre memoria, arte e ideología, ambas curadas por Giacinto Di Pietrantonio. Por su parte, “Final del Juego” es el inteligente homenaje a Julio Cortázar en el centenario de su nacimiento en Espacio Contemporáneo, exhibición abierte que, como la gran fachada del vidrio de Proa, invita a la interacción con los espectadores.

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  • Título: Diario. Tres grandes muestras comparten el espacio de la Fundación Pro.
    Autor: Natalia Páez.
    Fecha: 19/09/2014
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    Producciones de Fabio Mauri, Lo clásico en el arte y Final de juego

    Ensayos, proyectos editoriales y conferencias, películas y proyecciones de un artista fundamental del siglo XX italiano, una revisita a los clásicos con la curadoría de Giacinto Di Pietrantonio y una evocación de Julio Cortázar.

     

    El lenguaje es guerra. Así pensaba Fabio Mauri, uno de los artistas medulares de la segunda mitad del siglo XX italiano, cuya muestra antológica se presenta por primera vez en Sudamérica, en la Fundación Proa. El lenguaje es guerra que se libra en el discurso, y que él libró en su arte. Mauri nació en Roma, en 1926, bajo el régimen de Benito Mussolini. Fue uno de los protagonistas del debate cultural que tuvo lugar en la segunda posguerra. En sus obras hay una crítica punzante a las ideologías totalitarias, al Holocausto, y un fuerte rechazo frente a la consolidación de los sistemas europeos. 

    En la sala donde se exhibe su obra, un muro de cuatro metros por cuatro, levantado con valijas, estuches, bolsas de viaje en tela y cuero, baúles de madera que eran de judíos deportados a campos de concentración, divide la sala en dos. Maletas que no fueron trasladadas, símbolos del exterminio y de las atrocidades humanas. La obra se llama El muro occidental o de los Lamentos (1993), y fue presentada en la XLV Bienal de Venecia. También están el felpudo Non ero nuovo presentado en Documenta 2012 tres años después de la muerte del artista, ocurrida en 2009, en Roma. 

    Entre sus obras significativas están las performances, algunas de ellas presentadas en Proa. ¿Qué cosa es el fascismo?, Ebrea e Ideología y natura. En esta última, ingresa una mujer joven, vestida con ropas con símbolos fascistas. Queda de pie frente a los observadores para comenzar la performance que consiste en despojarse de su vestimenta, hasta quedar completamente desnuda, como signo de inocencia. Están allí los símbolos versus la naturaleza. 

    La obra de Mauri incluye ensayos, proyectos editoriales y conferencias, películas y proyecciones. Una de ellas, emblemática. Allí se ve a su amigo Piere Paolo Pasolini con una camisa blanca y sobre ella se proyecta El evangelio según San Mateo. Se trata de Intellectuale (1975). En la muestra del museo de La Boca, acompañan ocho videos documentales con los registros de las performances más destacadas como ¿Qué es el fascismo?, de 1971 y El televisor que llora, 1973 más una entrevista al artista.

    Se exponen también algunos de sus primeros dibujos, presentados en 1955 en una galería romana por su amigo Pasolini, quien explicó que el elemento principal de las creaciones de Mauri era la "contaminación del lenguaje". "Desde sus primeras muestras, se manifiesta su inclinación por un lenguaje pictórico expresionista. Las primeras reseñas sobre su obra hablan de confusión, e identifican, aunque como algo negativo, uno de los rasgos fundamentales de la obra de Mauri: el de reunir los aspectos contradictorios de la realidad, que es el verdadero origen de la idea que tiene del collage como esencia intrínseca de la pintura. (…) Para Mauri, una Europa que todavía piensa en alemán debe arreglar cuentas con su profundo y arraigado expresionismo. Todavía se escribe y se dibuja al modo expresionista y hasta el cine sigue hablando ese lenguaje", escribe Laura Cherubini en el libro Fabio Mauri: Ideología y Memoria (2012).

    Este mes a la muestra de Mauri se suma otra de peso. "Lo clásico en el arte", curada por Giacinto Di Pietrantonio y organizada con la Accademia Carrara de Bérgamo, y el Museo de Calcos de Buenos Aires. curada por Giacinto Di Pietrantonio y organizada con la Accademia Ca Giacinto Di Pietrantonio carrara de Bérgamo, y el Museo de Calcos de Buenos Aires. Una mirada del arte clásico atravesada por los ojos contemporáneos. El curador pone en valor el concepto de copia –por eso se revaloriza el calco, que es una copia exacta de una escultura, entre otros ejemplos– tanto en la escultura como en la pintura. También hay una reflexión sobre los conceptos de la religión, el cuerpo y el retrato. 

    En la sala 1, el calco La Piedad, de Miguel Ángel se presenta como la imagen organizadora que desarrolla el tema de la muerte, el sacrificio y los cánones religiosos. Pero no todos son símbolos del imaginario religioso o de las leyendas mitológicas, por ejemplo, se presenta Pira mujer arrodillada, una obra de Kiki Smith, de 2002 que describe el sufrimiento de una mujer en la hoguera. Esta remite al folklore de las brujas prendidas fuego sobre una pira de madera. Evoca los siglos de fanatismo y persecución. En la sala 2 vuelve a predominar Miguel Angel. Allí una gran cabeza del David es la figura central en el espacio en el que se hace un recorrido sobre los retratos a lo largo de la historia. Desde el tradicional, burgués, del personaje destacado hasta unos actuales del Sam Durant que contrasta al hacer bustos de unos anarquistas anónimos. Y la impactante de Alfredo Pirri (Facce di gomma, 1992) que hace un conjunto de más de 100 máscaras de látex y caucho de su propio rostro, dispuestas en un muro. Cada una de ellas con un tratamiento del color diferente. La cara del artista es la matriz para la producción de máscaras. La discrepancia entre lo original de una cara única y la repetición en serie refuerza el carácter de representación de la materia como residuo, cancelando la individualidad del ego. 

    En la sala 3, el protagonista es otra vez el cuerpo y el concepto de fragmento que es un legado de la antigüedad. El Etrusco, obra de Pistoletto, de 1976, con su espejo, propone mirar y también participar con nuestra imagen de la obra. Y entonces, propone el curador, ¿quién es el artista? Pistoletto o el espectador. ¿O ambos? En ese marco Shirin, la película de Abbas Kiarostami en la que el director registra los rostros de los espectadores durante una proyección imaginaria le da un lugar relevante al público. También, de Pistoletto se destaca la Venus de los jirones, una venus que de espalda está frente a jirones de tela.

    El centenario del nacimiento de Julio Cortázar no pasa inadvertido en la propuesta que hasta noviembre tiene la Fundación Proa. En el Espacio Contemporáneo se presenta Final de Juego, de Alexandra Kehayoglou, Guillermo Rodríguez y Luciana Rondolini. Un de los proyecto que vincula un aspecto de su literatura con el campo de las artes visuales contemporáneas. Los artistas trabajaron sobre el cuento Continuidad de los parques.  

    Muestras

    Fundación Proa

    De martes a domingos de 11 a 19, lunes cerrado. En Avda. Pedro de Mendoza 1929.



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  • Título: Web. Fabio Mauri.
    Autor:  Domus Magazine.
    Fecha: 17/09/2014
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    The exhibition curated by Giacinto Di Pietrantonio at the Fundación Proa provides the first anthological overview of Fabio Mauri’s art to be seen in South America.

     

    The works selected for the exhibition at the Fundación Proa delve into the different uses of artistic language.

    They encompass the media of installation, video, performance, drawing, and painting. In conjunction with the exhibition, video documentation and other works are screened in Proa’s auditorium.

    Fabio Mauri is the author of a unique and committed body of original work that cannot be categorized as part of any single movement. This exhibition brings together works that affirm the unclassifiable nature of his art as well as the wealth of aesthetic languages and resources he has used to explore political and social issues.

    What is Fascism?, Jewish Female, Ideology and Nature, performances, and the striking The Western or the Wailing Wall give shape to a thoughtful and devastating vision. This exhibition evidences Mauri’s sharp criticism of totalitarian ideologies, the living traces of the Holocaust, and the widespread sense of mistrust and rejection in response to the consolidation of European systems.

    As curator Giacinto Di Pietrantonio states: “Mauri’s art circulates in a linguistic terrain tainted by ideology. He attempts to disassemble the mechanisms of manipulation innate to any ideology.” As Mauri himself put it in the title of one of his books Language is war.

    until November 2014

    Fabio Mauri

    curated by Giacinto Di Pietrantonio

    Fundación Proa

    Av. Pedro de Mendoza 1929

    La Boca, Caminito

    Buenos Aires

    Argentina



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  • Título: Diario. Fabio Mauri. Un punk en la trinchera.
    Autor: Alejandro Bellotti.
    Fecha: 14/09/2014
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    Se presentan por primera vez en Argentina más de sesenta obras del artista italiano Fabio Mauri (1926-2009), quien supo edificar un espacio para la refelxión y la crítica que se articula con el mejor combustible de nuestra especie: la imaginación creadora.

     

     

    Es un ejemplar espléndido. No lo vemos en su totalidad, se nos presenta de espaldas. El tronco fino, los muslos firmes, al igual que las nalgas. La piel es suave como el terciopelo, la nuca detrás de una persiana de pelos. Es un cuerpo de expresiones multiformes, susceptible entonces de revelarse en gestos inagotables. Delante de esa estampa atornillada, un espejo que secuestra al narciso. La mirada vacía, adormilado el sentido. Con regularidad mecánica las manos ejecutan el repertorio del input: tomar la tijera, cortar un mechón del cabello, untarlo con pegamento. Estampar ese mechón encolado en el centro del espejo. Conformar la figura. Con imperial displicencia, en silencio, pero de manera continua, en loop. El cuerpo desnudo ante una multitud vestida. Y sin embargo no es un cuerpo fetiche, es una trituradora de significados. Las lonjas de pelo en el espejo esbozan una forma. Divisamos líneas rectas que se entretejen. Nos detenemos en la amplitud del cuerpo. Un cuerpo artefacto, un cuerpo que se hace oír. Un par de manos que actúan de pontifex, que ligan el dispositivo con un viaje hacia lo penumbroso. Las tiras de cabello completan el cuadro: una estrella de David se compone. La misma estrella que la joven lleva impresa en el pecho, junto al número que sustituye su nombre. Es una operación expresiva. Es un alma extraída, anestesiada. Es un núcleo sin sustancia. Es una efigie barnizada de manifestaciones. Es una palabra. Es.

    Ebrea (Judía) se ejecutó por primera vez en 1971, en Roma, años después del desarme de la maquinaria nazi, la derrota del fascismo y en plena vigencia del Estado de bienestar. Y sin embargo memoria y creación se funden para dictaminar sentencia: no hay prédica anacrónica. Fabio Mauri siempre supo que el arte debía desmantelar las operaciones ideológicas del discurso y gritar el descontento, como un mantra lisérgico de Nina Hagen. Mauri: un punk en la trinchera.

     

    Ebrea es una performance que trata del descubrimiento del yo en el otro y por mediación del otro. Da a entender que incluso la oscura trivialidad del racismo sólo puede evaporarse cuando uno comprende a otro ser humano y es comprendido por él. Para Gregor von Rezzori, el filosemita y el antisemita comparten algo capital: considerar la existencia de una naturaleza judía colectiva, la “semitidad”. Mauri, en cambio, nunca lo creyó. En un tiempo donde los grupos raciales y lingüísticos se definían con una precisión bizarra incluso, ¿cómo no iba a volverse igualmente absurdo el concepto mismo de lo común?

     

    Ebrea se presenta ahora en Fundación Proa como parte de No era nuevo, la exuberante exposición que trae por primera vez a Sudamérica parte del inventario operístico de Fabio Mauri, uno de los artistas centrales de la segunda mitad del siglo XX italiano; crítico de las ideologías totalitarias, artesano del desarme. Se trata de una muestra poliédrica, construida por más de sesenta trabajos representativos de las distintas etapas creativas del artista. Vemos expuestos los primeros dibujos macerados de expresionismo abstracto, aquellos presentados en 1955 en una galería romana por Pier Paolo Pasolini, quien advirtió la “contaminación del lenguaje” como elemento medular en Mauri. Pasolini fue, en cierto modo, el introductor de Mauri en el feedlot poético romano. Su Virgilio.

     

    Poco antes de aterrizar en Roma, Mauri pasó unas temporadas en un neuropsiquiátrico. Le dolía la vida. En un happy hour de electroshock, curas de sueño y pastillas exploratorias, Mauri buscó suturar el sangrado. Había sido testigo de la guerra y como buen cristiano buscaba hurgar en la herida para redimirse. ¿Puede acaso el ser humano atreverse a tanto? Es el artista que rastrilla en la memoria –como recreación de la experiencia– para reinterpretar un presente colectivo donde la dinámica histórica sea. Esto queda expuesto en el resto de la muestra. Dejamos atrás esos primeros diseños semifigurativos para acceder a la refriega de los matices conceptuales.

     

    Sus instalaciones son siempre espesas. En un mismo espacio coexisten múltiples registros que configuran un ambiente polifónico que viste al espectador con la polvareda del combate. El exterminio posta. Y el elemento teatral que le imprime carga simbólica; el recorrido típico: de lo concreto a lo metafórico, y de aquí a lo hipotético. Como sea, en cualquier instalación de Mauri, cuando el objeto parece al final conquistado, la confusión se apodera, la huida automática hacia otro comienzo. Posiblemente lo que nos esté diciendo Mauri es que no hay nada que “entender”, sino más bien que la operación debería ser “atender”. Lo sabemos de memoria: toda obra contiene una arquitectura. Una puerta de entrada y otra de salida; el jardín delante o detrás, habitaciones, pasadizos secretos, trampas para los curiosos. A la verdad experiencial le siguen el sentido del texto como algo inteligible, así como la posibilidad de cazar un significado. Pero la hermenéutica sufrió el colapso: ahí no hay un ahí. Mauri debió también él desenredar el ovillo. ¿Cómo descomponer esa magnética maquinaria artística que fue el nazismo?

     

    Mauri nació en Roma en 1926, con el Duce en el poder, pero también con los medios de comunicación de masas preparados para la embestida. La propaganda que se llevó por las narices a los sans culottes extasiados para dogmatizarlos bajo un mismo prisma. Entonces la pantalla, su objeto fetiche. Mauri se planta así frente a un régimen de significación naciente, como el que anunciaba el cine, que modifica la percepción sensorial de la experiencia social. Tecnologías revolucionarias con un potencial de reproductibilidad inédito hasta entonces, que amplían las posibilidades de la memoria y el archivo. Una memoria artificial que pone en tensión nuestra relación con el mundo (Benjamin ya se encargó de esto). No es una lectura optimista –no podemos olvidar que el igualitarismo que propone la cultura de masas se encuentra en la raíz misma de la mitología burguesa, cuya figura contemporánea es el consumidor–. No. La propaganda que diseminó como reguero una potencia intrínsecamente imperial, dominadora y amenazante; la capacidad de producir unos símbolos nuevos, unos modelos de vida y unos programas de conducta. Mauri atiende estas estrategias. Es de esta etapa el ciclo Schermi (Pantallas), iniciado en 1957, cuando construye su primera pantalla pintando un marco de témpera negra sobre una hoja blanca. Algunas piezas de este momento son exhibidas en la muestra, tales como Schermo (1958), Schermo The End (1970) y Warum ein Gedanke einen Raum verpestet?/ Perché un pensiero intossica una stanza? (1972), en el que un kilo de frases indescifrables en alemán se desparraman como epígrafes metafísicos en las pantallas.

     

    Arsenal simbólico. La sala queda prácticamente dividida en dos –al igual que el mundo– por El muro occidental o de los Lamentos (1993), presentada en la XLV Bienal de Venecia. Se trata de una cerca de 400 x 400 x 60 cm hecha de valijas, bolsas de tela y cuero, estuches, baúles de madera de judíos deportados a campos de concentración. Maletas que no viajaron, no llegaron a destino, víctimas de un futuro que nunca se hizo presente. Pero el muro no es solo tapia, es también una pantalla que absorbe imágenes de migraciones forzosas, pelotones de angustia. Una obra estrangulada por el relato.

    Al otro extremo –donde descansa el felpudo Non ero nuovo (2009), presentado en Documenta 2012– ingresa una muchacha vestida con los símbolos fascistas, y lo hace en un movimiento fluido, formalmente perfecto, como una epifanía. Queda de pie frente a los observadores para comenzar así con Ideología y natura (1993), otra de las performances; la joven va despojándose de la ropa hasta imponer su desnudez como único documento de inocencia simbólica. La vulnerabilidad y el tic marcial como dos caras de la misma moneda. A diferencia de otras obras de realismo lírico, ésta tiene conciencia de la discusión. Y otra vez la imagen de la juventud. Como la chica desnuda sobre cuya espalda se proyecta el film Viva Zapata de Kazan en la representación Senza ideologia (1975); como en Dramophone (1976), cuando un joven víctima del fanatismo canta su marcha revolucionaria; es también joven el estudiante de Che cosa è il fascismo (1993); o los protagonistas de la performance Che cosa è la filosofia (1989).  Los jóvenes: materia prima para la guerra.

     

    La extensa biografía creativa de Mauri incluye, junto a exposiciones, ensayos, performances, proyectos editoriales y conferencias, films y proyecciones –como la emblemática proyección de El evangelio según San Mateo sobre la camisa blanca de Pasolini en Intellectuale (1975)–. En la muestra actual, acompañan 8 videos documentales con los registros de las performances más destacadas (¿Qué es el fascismo?, de 1971 y El televisor que llora, 1973, por ejemplo), más una entrevista al artista.

     

    Mauri está lejos de ser un militante, un intelectual orgánico encomendado a La Causa. Mauri es un humanista, que lo ha visto todo, que se pregunta sobre la experiencia y la responsabilidad ética del arte. Un creador-pensador alertado por los artilugios de manipulación inherentes a las ideologías, el proceso como un rasti elástico de mentiras. Pretende desenmascararlas, valiéndose del instante soberano: el pensamiento. Nos da la sensación que Mauri vistió los intestinos de un profeta existencial, porque en cierto sentido la cuestión judía se ha convertido en el patrón de todas las dudas. ¿Qué es el poder? ¿Quién debe ejercerlo? ¿Qué es el Estado? Su última obra, de 2009 –meses antes de morir–, es un paño de cemento de 9 cm de profundidad desgarrado por las letras e, t y c: Etc. La continuidad como posibilidad. La repeteción como persistencia. No era nuevo.



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  • Título: Web. Las contestatarias obras del italiano Fabio Mauri, en Fundación PROA.
    Autor: Gira BsAs.
    Fecha: 13/09/2014
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    La performance "Ebrea" se mostrará este fin de semana en Pedro de Mendoza 1929 a las 18hs; el resto de la muestra, más de 60 obras del fallecido artista, se podrán ver hasta noviembre

    Fabio Mauri (1926- 2009) llegó a la Fundación Proa. Una muestra inédita en América latina que reúne a unas 60 obras de este intelectual que cuestionó los discursos del totalitarismo con su arte, se podrá ver hasta el mes de noviembre, pero este fin de semana es la última oportunidad para contemplar las dos últimas performances del artista italiano: “Ebrea”.

     

    Presentada por primera vez en 1971 en la galería veneciana Barozzi como una cruda aunque bella (dentro de su propia lógica estética) crítica al genocidio judío: durante una hora y media, una mujer desnuda con una estrella de David dibujada en el pecho y un número impreso en el brazo, se corta el pelo frente a un espejo y con los mechones arma otra estrella de David sobre el vidrio.

     

    Mientras que "Ideología y naturaleza", se presentó en 1973 en la galería Milenio de Bolonia: Dos horas en que una joven uniformada con el fascista "Little italianos", se viste y desviste lentamente, colocando las prendas en distintas posiciones que, gracias a un juego de luces, remiten a distintas ideologías, desde un arlequín a una capa del Ku Klux Klan, que se anulan en la inocencia del desnudo.

     

    En el marco de la exhibición montada en la planta alta del edificio que corona la Vuelta de Rocha, en pleno barrio de La Boca frente al Riachuelo, se proyectarán ocho videos documentales de las performances originales más relevantes de Mauri y una entrevista al artista.

     

    En el Auditorio de PROA proyectarán "¿Qué cosa es el fascismo?", un resumen de ocho minutos 27 segundos de la pieza presentada en 1971; un fragmento de cinco minutos de la "Ebrea" origina; "El televisor que llora", resumen de dos minutos 41 segundos de su icónica obra de 1973; y seis minutos 11 segundos de "Ideología y naturaleza", del mismo año, también notablemente fiel en su reversión .

     

    Los videos se completan con "¿Qué es la filosofía? Heidegger y la cuestión

    alemana. Concierto de mesa", ocho minutos 57 segundos recuperados de la performance de 1989, "Homenaje al Gutai", rescata 11 minutos 10 segundos de 1990; y "Reconstrucción de la memoria en la percepción", proyecta 11 minutos de la pieza original, de 2004.

     

    Nacido en Roma en 1926 en pleno fascismo, Mauri atravesó una fuerte crisis de conciencia antes de los 20 años al comprobar la matanza de judíos, muchos de ellos amigos, que lo llevó a guardar tres años de silencio absoluto, tras lo cual se dedicó a realizar ready made, ensayos, teatro y videos, siempre intentando generar el debate social y definir los lenguajes del siglo XX más productores de ideología.

     

    Sábado 13 de Septiembre de 2014



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  • Título: Diario. La perfo que perfora.
    Autor: Adrian Melo.
    Fecha: 12/09/2014
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    Título de Tapa: Exceso de Equipaje

     

     

    No se trata de un artista homosexual ni tampoco de una obra leída en esa clave. Artista y pionero del arte performático, Fabio Mauri (Roma 1926-2009) interpela con una serie de piezas eclécticas no sólo al nazismo y a la discriminación en sus variadas formas, sino a su tolerancia. Preso del misticismo y la locura, catalogado como enfermo mental durante años, vivió en su cuerpo las bondades disciplinadoras, electroshock incluido. Amigo íntimo de Pier Paolo Pasolini, construyó con él y su hermana Silvana Mauri un triángulo metafísico de amor y deseos y estableció un diálogo artístico que continúa más allá de la muerte.

     

    En una sala de la Fundación Proa, una muchacha vestida con el uniforme de las juventudes fascistas se desnuda lentamente y se vuelve a vestir varias veces en una especie de ritual que dura dos horas cada vez. La performance se llama Ideología y natura. La joven cargada de ideología vuelve a la naturaleza y luego vuelve a contaminarse de ideología y así sucesivamente. La combinación casual de las prendas cambia su imagen y se va pareciendo, alternativamente, al Ku Klux Klan, a Arlequín, a las jóvenes formales y fanáticamente religiosas de una marcha contra gays, lesbianas y trans...

     

    En la otra punta, una bella modelo desnuda, de espaldas, se corta varios mechones frente a un espejo ayudada con tijeras y una máquina de cortar pelo. Con sus cabellos compone sobre el espejo la imagen de una estrella de David.

     

    Sin embargo, y a pesar de estar de estar en la misma sala, las dos figuras femeninas no se ven. Están separadas por un muro de maletas de cuatro metros de alto, una pila de valijas de cuero o de madera, de diversas dimensiones, que puede ser leída en clave de la división del mundo (entre locos y cuerdos, comunistas y capitalistas, nazis y judíos, heterosexuales y los hombres del triángulo rosa), del exilio, de la fuga, del éxodo forzado, de la separación entre la heteronormatividad y las disidencias sexuales...

     

    Las valijas que forman parte de la instalación Muro Occidental o del llanto pertenecen muchas de ellas a víctimas del Holocausto, pero no solamente. También a inmigrantes o emigrantes; en todo caso son valijas de viaje abandonadas que no cumplieron su destino manifiesto de placer o de llegada a la Tierra Prometida, o al país del otro lado del arco iris o al menos a un lugar en el mundo. Abandonadas, son testigos mudos del terrorismo de Estado o de tantas otras formas de políticas discriminatorias.

     

    Estas son algunas de las alrededor de sesenta obras, entre dibujos, performances, instalaciones y pinturas del artista Fabio Mauri que se exhiben por primera vez en la Argentina y que dan cuenta de su crítica radical tanto a las ideologías totalitarias como a la consecuente denominada sociedad del espectáculo de posguerra en el marco del fenómeno neocapitalista.

     

    La pared de valijas fue presentada por primera vez en la Bienal de Venecia de 1993. Presenta un único baúl abierto en donde se contempla la fotografía de una joven hebrea. Pero los viajes a la muerte de los trenes que trasladaban prisioneros a los campos de concentración no es la única lectura que puede hacerse de la instalación. Mauri ya había habilitado la multiplicidad de sentidos en torno a su obra en el manifiesto que escribe a propósito de su exposición Ebrea (Judía, 1971), unos años antes: “He visto reproponerse el racismo en variantes que ya habían producido el mal en un estado raramente tan puro. En Ebrea, el racismo (anti) representa al negro, o a cualquier otra especie o subespecie de racismo, cuya ley, en definitiva, se puede resumir en ‘Discriminar al hombre a causa de un desvalor. O, igualmente, de un valor’, en el que discriminar es lo contrario de un juicio. Es la condena por signos no indivisibles sino infinitamente trasladados, pero ‘objetivos’, externos y colectivos, operada sobre el hombre”. Así, las valijas se erigen como símbolo universal de toda migración, de todo exilio, de todo dolor del mundo. El dolor por los amigos que no volvieron jamás.

     

    Seguramente cuando escribía estas palabras, como en tantos momentos de su obra, Mauri dialogaba con el gran amigo de su vida, Pier Paolo Pasolini. Mauri habrá visto encarnado el racismo en el verdadero calvario que Pasolini sufrió a causa de su deseo por los muchachos. En este sentido, Mauri apoyó fuertemente a Pasolini cuando fuera rechazado por parte de su familia y amigos, y en el proceso en su contra por homosexualidad que sufriera hacia fines de los años ’40. Y seguramente lo habrá socorrido o habrá escuchado de sus labios los peligros de sus cacerías amorosas en los suburbios de Bolonia o de Roma tras los muchachos duros de clase obrera que le encantaban; su pasión interminable por los chicos del arroyo, por el lumproletariado (“Son miles. No puedo amar sólo a uno”) que podía tan pronto terminar en delicioso placer como en vergüenza, humillación, insulto, desprecio o maltrato físico.

     

    Quizá también por ello, tal como señala Achille Mauri, el encantador hermano de Fabio que acompaña la muestra a todas partes del mundo y es uno de los principales difusores de su obra, el gran tema de la obra de Fabio Mauri es la discriminación. A propósito de eso, en el texto aludido, Mauri escribe: “Yo no soy judío ni hijo de judíos. He deseado incluso serlo. Me siento judío cada vez que puedo y sufro discriminación injusta...”.

     

    Las amistades particulares

     

    “Fabio Mauri y Pier Paolo Pasolini se conocieron cuando eran dos muchachos en Bolonia, juntos hicieron el liceo y la universidad”, relata Giacinto Di Pietrantonio, el curador de la muestra. “Ambos compartieron el hecho de ser personas activas y críticas contra la sociedad. Sus obras son paralelas en tanto ambas constituyen una denuncia de las ideologías, el nazismo, el fascismo, pero también de la ideología de la sociedad del espectáculo y del consumo que se manifiesta particularmente en el cine, en la publicidad y en los mass media.” La primera obra que hicieron en común fue la revista Il Settacio, de arte, crítica, filosofía y política, y ahí comienzan a realizar tímidamente desde un plano teórico y cultural las primeras críticas al sistema fascista al cual Mauri terminara de definir, con los años, como un régimen imbécil. Ya se advierte en estos primeros escritos el impulso de los amigos de provocar y retar a la sociedad.

     

    “A partir de entonces comenzó la frecuencia cotidiana de nuestra amistad –relató Fabio Mauri a Nico Naldini, biógrafo y primo de Pasolini–, y la memoria en un continuum feliz, venturoso, apasionado por el arte y la literatura...”

     

    En aquellos primeros años ’40, Mauri y Pasolini pasaban mucho tiempo juntos, todo el tiempo que podían, como suelen hacerlo los jóvenes con afinidades.

     

    Santo y loco

     

    El final de la guerra es el gran punto de inflexión de la amistad y de sus vidas: a Pasolini le es revelado que su hermano partisano, Guido Pasolini, fue asesinado no por los enemigos fascistas sino por la Resistencia yugoslava, es decir por otros compañeros comunistas, algunos de ellos italianos, y Mauri descubre las atrocidades cometidas en los campos de concentración nazi frente al silencio cómplice de parte de la sociedad. Para ambos termina la idea del mundo maniqueo o lisa y llanamente amigable. Entonces, Mauri entra en una crisis que lo hace alejarse del mundo. Busca un sentido a la existencia y se refugia alternativamente en la Iglesia y en hospitales psiquiátricos.

     

    “Cuando terminó la guerra, Fabio descubrió la mentira, la complicidad silenciosa de tíos, parientes, amigos sacerdotes, el Papa en torno a los crímenes ejecutados”, cuenta Achille, que no casualmente fue uno de los productores de la película Garage Olimpo (Marco Bechis, 1999). “Y se enojó también con la familia. Con mi padre, con mi madre. Consideró a todo el mundo responsable de la neutralidad. “¿Cómo es posible que vos no sabías?”, era su pregunta recurrente. Mi hermano era puro compromiso. Y ahí comenzó una carrera de santo y de loco. Fue santo en el sentido de que lo echaban de la Iglesia porque se sacrificaba demasiado. Y después lo echaban del hospital psiquiátrico porque los médicos decían que con dos como él se arreglaban los problemas psiquiátricos del mundo. No era un loco para nada.”

     

    Sin embargo, fue sometido a los terribles tratamientos psiquiátricos de la época, entre ellos las temibles sesiones de electroshock. Cuando Mauri recupera la conciencia, su regreso a la realidad viene de la mano de una feroz crítica, coincidiendo una vez más con la radicalidad de Pasolini contra la sociedad burguesa y el mundo del consumo. Y así como Pasolini filma Saló o los 120 días de Sodoma (1975), Mauri exhibe objetos escalofriantes como un Caballo de S.S. enjaezado con arreos de piel judía; Cochecito judío realizado con la familia Modigliani 1940; Jabón de verdadero cebo judío; Silla de piel judía-Nuremberg 1941, entre tantas obras que se pueden apreciar ahora en la muestra. Así como Pasolini no cesa en denunciar al sistema educativo y a la televisión como reproductoras de la cultura opresora burguesa, Mauri denuncia al cine y los mass media como productores y reproductores ideológicos en sus célebres Pantallas vacías: más de cuarenta pantallas en blanco que fueron elegidas también para esta exhibición.

     

    “Yo no puedo ver las cosas sin documentarlas”, le dice Mauri a su familia, según testimonio de su hermano. Y allí comienza su obra.

     

    Diálogo de artistas

     

    Para su primera exhibición pública en la Galería Aureliana de Roma, en 1955, Fabio le pide a Pasolini que le haga una presentación y Pier Paolo escribe un texto en donde señala que el trabajo de su amigo está basado en la contaminación. Como poeta vidente que solía ser, Pasolini predice tan sólo con los dibujos de la muestra en lo que Mauri va a convertirse. En los años siguientes, el lenguaje contaminado en tanto recurre a la expresión de la pintura, de la escultura, de las instalaciones, de las performances, y que dan cuenta a su vez de la contaminación del mundo merced a las ideologías (“el fascismo contaminó todo, hasta la luna y el sol”), van a ser el sello de marca de Mauri.

     

    Desde entonces comienza un diálogo entre los artistas amigos que va a durar hasta la muerte y en donde Fabio es intérprete secundario en algunos de los films de Pasolini (Medea, en donde hace el papel del rey), y Pasolini participa en algunas de las performances de Fabio. La más conocida de ellas es Intelletuale, realizada en la Galería de Arte Moderno de Bolonia en 1975, pocos meses antes del asesinato del poeta. En esa performance, Pasolini está sentado en una silla en medio de la sala con pantalón negro y camisa blanca. Sobre la camisa blanca se proyecta el film El Evangelio según San Mateo (Pasolini, 1964). El pecho iluminado de Pasolini guarda analogía con el dogma religioso del Sagrado Corazón. Es el cuerpo sagrado del poeta visionario que pocos después será sacrificado en las costas de Ostia, poniendo fin a la vida del intelectual crítico y revulsivamente opositor que precisan todas las sociedades. La analogía entre Jesús y Pasolini viene dada también por el hecho de que, en el film, la propia madre de Pasolini interpreta a la Virgen María anciana. Y en que la versión de Jesús que hace Pasolini pone particular hincapié en sus dotes de revolucionario y en los rasgos proletarios y comunistas de sus discursos (“Bienaventurados seréis cuando los hombres insulten, maldigan o persigan”).

     

    Giacinto Di Pietrantonio recuerda para Soy una anécdota en torno a ese día, que Fabio solía relatar con frecuencia. Cuando había transcurrido un cuarto de hora de la proyección de El Evangelio según San Mateo sobre su camisa blanca, Pasolini comenzó a ponerse nervioso. No porque no quisiera estar ahí y continuar la performance –Pasolini gustaba de la obra de Mauri y quería entrañablemente a su amigo– sino porque quería saber en qué tramo de la película se encontraba, poder echar un vistazo y ver al menos un poco.

     

    La anécdota habrá vuelto una y otra vez a la memoria de Fabio por ser una de las últimas cosas que compartieron los dos amigos. Pasolini fue asesinado el 2 de noviembre de 1975, un crimen al cual Mauri hasta el fin de sus propios días no cesó de denunciar como crimen de Estado. Como evocación postrera al amigo adorado, el 9 de diciembre de 1975, Mauri repone la instalación Intelletuale y proyecta El Evangelio según San Mateo esta vez sobre la camisa blanca que Pasolini vestía cuando fue asesinado. “El autor desaparece, pero la obra de arte es igual de elocuente”, explicó Mauri, conmovido.

     

    Té para tres

     

    Finalmente es el propio Achille el que –nuevamente– llega al quid de la cuestión que me planteaba mientras contemplaba la muestra. ¿Por qué y cómo influyeron Fabio y Pasolini, cada uno en la obra del otro? ¿Cómo se explica la perdurabilidad del vínculo?

     

    “Influyeron en este sentido: Pasolini estaba enamoradísimo de mi hermano Fabio. Mi hermana Silvana estaba enamoradísima de Pasolini”.

     

    Si bien para demostrar el amor de Pier Paolo por Fabio debemos confiar en la palabra de Achille, el enamoramiento de la hermana de Fabio, Silvana Mauri, por Pasolini está ampliamente documentado en diversos testimonios como el que la mujer le ofreció a Naldini: “Me lo trajo a casa mi hermano Fabio, que tenía dieciséis años, es decir, cuatro años más joven que Pier Paolo y que yo; lo había conocido en la redacción de una revista juvenil, Il Setaccio, en Bolonia, donde la familia Pasolini y la mía estaban establecidas provisionalmente, y en el fondo por casualidad. Aquellos primeros recuerdos se me confunden en el polvillo de oro de la juventud, dentro de aquella incandescencia que difumina los contornos. Como encuentros soñados. Su cara me pareció bellísima; en ella, los rasgos eslavos, romañeses, judíos, habían compuesto unas facciones únicas, una máscara irrepetible. Su cuerpo era incluso demasiado expresivo, de Mantegna y también de pobre, medieval. Era tan fuerte y viril que, si te cogía las muñecas para comunicarte su afecto, era como si te las apretara con dos tenazas. De su actitud tímida, con una reserva y sobriedad septentrionales, surgían discursos lentos, vacilantes, con aquel acento agrio, desnudo, humedecido, acre, de los venecianos del Friuli”.

     

    “Pero después de la guerra, Pasolini se fue a Roma –continúa Achille–. Le escribió una carta a mi hermana en donde le decía: ‘Hay dos cosas que me hacen feliz en la vida: en Roma yo puedo ser comunista y homosexual’. Mi hermana lloró durante casi diez años.”

     

    En diversas cartas que Pasolini le envía a Silvana Mauri se preocupa particularmente por Fabio, y curiosamente establece analogías entre la enfermedad-locura de Fabio que tiene cura y su loca homosexualidad que no tiene cura, pero que le provoca algunos goces y alegrías culpables.

     

    Según Achille, el amor incondicional de Silvana por Pasolini se pondrá particularmente de manifiesto durante uno de los procesos judiciales que se le inicia al poeta: “Cuando Pasolini tuvo un proceso por homosexualidad, creo que era fines de los años ’40 o principios de los ‘50, mi hermana se presentó y declaró: ‘¡No es posible! Pasolini es mi novio. Tenemos una actividad sexual furibunda y desenfrenada, casi todos los días. ¡No es posible!’. Años después, cuando ya había terminado el proceso contra Pasolini, mi hermano tiene una entrevista en la radio. Y el periodista le pregunta: ‘Perdón, Fabio, ¿es verdad que Pasolini tenía esa doble actividad sexual, o al menos esa intensa actividad sexual con su hermana?’. Y mi hermano le contesta: ‘¡Pero no! ¡Mi hermana era virgen como un canguro!’”.

     

    En los años ’50, Silvana será la gran amiga de Pasolini con la que comparte sentimientos y proyectos, y probablemente haya sido la primera persona a quien le hace la confesión liberadora de su homosexualidad, tal como aparece en estos fragmentos de la carta a Silvana Mauri el 27 de enero de 1950: “Debes imaginar mi caso un poco como el de Fabio, sin psiquiatras, sacerdotes, curas o síntomas de crisis, pero que como en Fabio me ha alejado, ausentado... En este sentido creo que deseo vivir en Roma, justamente porque aquí no habrá ni un nuevo, ni un viejo Pier Paolo. Los que, como yo, están destinados a no amar de acuerdo con la norma, terminan por sobreestimar la cuestión del amor. Alguien normal puede resignarse –terrible palabra– a la castidad, a las ocasiones perdidas; pero, en mí, la dificultad para amar ha transformado la necesidad de amar en algo obsesivo... Aquí, en Roma, puedo encontrar mejor que en cualquier otro lugar la manera de vivir ambiguamente, ¿entiendes? Y, al mismo tiempo, la manera de ser absolutamente sincero, de no engañar a nadie... Tengo intenciones de trabajar y de amar, una y otra cosa desesperadamente... Mi vida futura no será la de un profesor universitario: ahora sobre mí se encuentra el signo de Rimbaud o de Campana o de Wilde, lo quiera o no lo quiera, lo acepten los demás o no. Es algo incómodo, chocante, inadmisible, pero es así; y yo, como tú, no me resigno”.

     

    Fabio Mauri, Fundación Proa, Av. Pedro de Mendoza 1929, septiembre-noviembre 2014



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  • Título: Web. Fabio Mauri y Lo Clásico en el Arte. 
    Autor: Infobae
    Fecha: 10/09/2014
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    Galería de imágenes de los exhibiciones

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  • Título: Web. El lenguaje es Guerra - Fabio Mauri.
    Autor: Arte al Límite
    Fecha: 09/09/2014
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    Fecha de inicio: 06/09/2014Fecha de término: 01/11/2014Artista: Fabio MauriLugar: Fundación ProaDirección: Av. Pedro de Mendoza 1929, Buenos Aires, Argentina

     

    Una selección de obras de Fabio Mauri, artista italiano de profunda importancia como crítico de la sociedad actual y sobre todo crítico de las ideologías totalitarias, es presentada por primera vez en la Argentina. La exhibición cuenta con la curaduría de Giacinto Di Pietrantonio y se organiza conjuntamente con el Studio Fabio Mauri.



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  • Título: Diario. Art plays with literature, history at PROA.
    Autor: Silvia Rottenberg
    Fecha: 09/09/2014
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    Three new exhibits dive into a referential blend for a powerful aesthetic dialogue

     

    Art, like life, is shaped by what has been. Canonical art works, literature, cinema, war form a base to refer to. The three exhibits that opened yesterday at Boca-based PROA Foundation do exactly this.

    Final del Juego on the top floor pays tribute to Julio Cortázar, even though the viewer needs a dose of imagination to link the strong works of Alexandra Kehayoglou, Luciana Rondolini and Guillermo Rodríguez to the celebrated author’s story La continuidad de los parques (The Continuity of Parks). This story deals with divergent perspectives of narrative, luring the reader as a participant to the tale, which is also the goal of this show — and, perhaps, of art in general.

    The gaze of the visitor in relation to the artist or the person portrayed is also on view in the third room of Lo Clasico en el Arte, one of the two shows curated by Italian Giacinto Di Pietrantonio, having Italian Classicism as its reference point. In the exhibition, previously at GAMeC — the Modern and contemporary Art Gallery of Bergamo —, classical Italian works brought from Italy and plastered models from Buenos Aires’ De la Carcova Museum are juxtaposed with contemporary art.

    Some of the juxtapositions work wonderfully, like Kiki Smith’s Pyre Woman Kneeling — a bronze female figure with her arms stretched on a pile of wood, waiting to be consumed by flames. The crucified position relates to the religious Italian works, such as the (plastered) Pietà by Michelangelo, through form and theme. This aesthetic “dialogue” is also very successful when David’s head is placed in the middle of the second room, looking at a wall of latex masks, a work by Italian artist Alfredo Pirri, and faced on the left by a bust by Charles Avery, also called Empiricist, a character of his philosophical Island – a long term project of the Scottish artist.

    Some combinations seem more far-fetched, such as Sam Durant’s installation Propaganda of the Deed on anarchism. Even though Durant uses classical material, marble, and part of the work are busts, the suggested connection is diffuse. Are we supposed to see David as an anarchist avant-la-lettre? Should we understand it as equating anarchists to the classically portrayed heads of power — but with a wink?

    In the last room the gaze is centre stage. Giulio Paolini’s Youth Looking at Lorenzo Lotto being exemplary. Paolini is an artist known from the famous Arte Povera movement in the 1960s, in which rich materials were not used. This work is a copy of a photo of a work by Lorenzo Lotto (1505), where he extracted a youth out of Lotto’s painting. This young man is obviously looking at the painter. The PROA visitor looks at this youth, but as a work of Paolini, who we assume looked at the painting. In other words: a whole lot of layers of different gazes.

    Following this tread is Adrian Paci’s referential Youths Watching Giulio Paolini placed on the opposing wall. At the back of the room, a work by Michelangelo Pistoletto, which draws the audience back in to the show. A classical orator addresses an audience, yet is placed with his back to us, yet, in front or mirror, making the audience aware of its presence. “Yes, you are being talked to, look at yourself, in relation to the art around you” is the message.

    A mirror is also found at the back of the overview exhibit of Italian artist Fabio Mauri, an artist who gained fame predominantly in Italy and France, and passed away five years ago. He left a diverse oeuvre, with the cinema and Second World War ideologies as his key references. The Western Wailing Wall is an especially impressive piece, right at the heart of the space. Suitcases believed to have been packed by Jews wanting to flee Europe, but who’d never reached a Western destination and were doomed to the East of the continent. One suitcase is opened, displaying a piece a paper that describes the performance Hebrea from 1971, which is (re)performed twice during the course of this exhibition. A woman slowly cuts off her hair, using the aforementioned mirror, and sticks the pieces of hair to the wall. The composition she makes of her locks forms the Star of David.

    Looking in the mirror when the woman is not there shows you the other works of this installation; Jewish candles, Jewish horse-riding equipment and Jewish soap. What is Jewish about it? It was made of them, as one may recall of history. The soaps have etiquettes with names of concentration camps. Mauri’s reference is direct and harsh. It leaves no room for openness. It is more an “End of the Game” show, than the so-titled exhibit on the upper floor, perhaps but, if prepared, it is well worth the visit.

    Where and when

    PROA (Av. Pedro de Mendoza 1929, Caminito – La Boca). The exhibitions are on view until November 2014. Opening hours: Tuesday – Sunday from 11am to 7pm. Admission fee: general 20 pesos, students 15 pesos, seniors 10 pesos. The Fabio Mauri performances are held on September 13 and 14 from 6pm to 8pm.



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  • Título: Diario. Pruebas de la eterna presencia del arte clásico.
    Autor: Ana Martinez Quijano
    Fecha: 09/09/2014
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    EL CURADOR GIACINTO DI PIETRANTONIO CRUZA ÉPOCAS Y ESTILOS EN UNA DE LAS DOS MUESTRAS QUE EXHIBE EN PROA

     

    La Fundación Proa de La Boca presenta por segunda vez una muestra curada por el teórico Giacinto Di Pietrantonio, director de la Galería de Arte Moderno y Contemporáneo de Bérgamo (GAMeC) y profesor de historia del arte en la Academia de Brera. En el año 2009 el curador presentó "El tiempo del arte" y ahora volvió hace unos días a Buenos Aires con varias obras de instituciones y colecciones italianas para montar dos ambiciosas exhibiciones: "Lo Clásico en el Arte" y "Fabio Mauri". 

     

    Di Pietrantonio trata a las obras como un director de teatro a sus personajes y cada escena se abre a una multiplicidad de sentidos que es preciso descubrir. Vale la pena escucharlo. El campo que domina el curador es la diversidad: desde el arte grecorromano con un firme acento en el Renacimiento y el Barroco, hasta la contemporaneidad. Surfeando con destreza la historia del arte, Di Pietrantonio exhibe obras que representan la figura humana y a través de ellas demuestra la presencia casi permanente del arte Clásico. 

     

    Al ingresar a Proa se divisa una pequeña pintura realizada en el año 1550 que representa "La Piedad" de Miguel Ángel, frente a la inmensa escultura de Buonarroti en tamaño real, un calco perteneciente al Museo porteño Ernesto de la Cárcova. Entre ambas obras irrumpe la contemporaneidad de Kiki Smith: una mujer hincada sobre una pira de leños que con sus brazos abiertos traza una línea imaginaria entre las dos versiones de "La Piedad". Al describir la pintura que proviene de la Academia Carrara, Di Pietrantonio destaca el valor de las copias de época, cuenta que el propio Miguel Ángel fue un buen copista y agrega que así gano en su juventud parte de la gloria. "La imagen de la escultura 'La Piedad' transportada a la pintura, adquiere otras cualidades", observa. Por lo demás, el curador no olvida los materiales, marca la distancia que separa el mármol del yeso y señala la estricta diferencia entre la copia manual y el calco de una escultura, realizada mecánicamente con la máquina de puntos. 

     

    El pathos del "Diluvio universal" de Giulio Carpioni (1675) destaca el dramatismo del conjunto, suscita el mismo desasosiego que el espectador volverá a experimentar en la muestra de Fabio Mauri. 

     

    La sala siguiente se abre con el "Retrato de un eclesiástico" de Bernardino Licinio (1525-1530) y la serie de retratos de los siglos XV y XVI atribuidos a la escuela "leonardesca". El yeso de Charles Avery, la cabeza del "Empirista" (2009) con el turbante del filósofo Averroes, al igual que la extensa serie de autorretratos de goma de Alfredo Pirri (1992) que derraman lágrimas de colores sobre las máscaras mortuorias, cobran una nueva dimensión humana frente a la cabeza del "David" de Miguel Ángel. 

     

    El hombre piensa y Di Pietrantonio aclara que las obras fueron seleccionados por su carácter político: "Los personajes elegidos ambicionaron cambiar algo en este mundo". Luego sobre los reiterados regresos al arte de la antigüedad, ese ir y venir perceptible en toda la historia, observa: "La vuelta a lo clásico se asocia a la quietud y cobra forma en momentos de grandes cambios, como el de la Revolución Francesa". 

     

    Los criterios acerca de los modelos expositivos han variado con el tiempo, pero sin duda, Di Pietrantonio, posee un estilo personal que se diferencia del común. En la muestra actual, más allá de cruzar épocas y estilos, más allá, también, de sus análisis sobre el tiempo del arte, que es mucho más dilatado que el del hombre, el curador cuestiona qué hay de nuevo en lo arcaico y qué hay de antiguo en lo moderno y contemporáneo. 

     

    La última sala está dedicada al cuerpo y hay una línea que une el calco del torso del "Apolo de Belvedere", fragmento que motivó un poema de Rilke, con la obra de Michelangelo Pistoletto "El Etrusco", una copia en bronce de la escultura etrusca de Aulo Metelo colocada frente a un inmenso espejo. El espectador aparece entonces junto a la escultura reflejado en el espejo. De este modo ingresa a una obra que cuestiona el papel que le cabe al que mira y no ya como intérprete sino como autor. 

     

    El cuerpo y su belleza se perciben en el calco de la "Venus de Milo", pero confrontando a la "Venus" anónima de Pistoletto, que está rodeada y casi cubierta por una montaña de jirones de ropa usada. El erotismo de "Leda y el cisne" en una copia de la pintura de Buonarroti realizada en el año 1550, dialoga con una fotografía excepcionalmente clásica de Vanessa Beecroft. Las obras mencionadas son apenas unas pocas en la extensa muestra que invita a hacer otros recorridos y otras lecturas. Este lúcido y didáctico estudio de las afinidades o discrepancias que surcan el arte de todos los tiempos abre, aunque es muy breve, un extenso campo de investigación. "En un arco temporal que se extiende desde Grecia hasta nuestros días lo antiguo es copiado y vuelto a copiar, entre repeticiones y e innovaciones", subraya Di Pietrantonio.



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  • Título: Diario. Para la Semana. Opciones interesantes. Fundación Proa. Exposición de F.Mauri
    Autor: Ámbito Financiero
    Fecha: 08/09/2014
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    La exposición reúne una selección de más de 60 obras de este artista italiano de profunda importancia como crítico de la sociedad actual y, sobre todo, de las ideologías totalitarias. Instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas se presentan por primera vez en Argentina. Su disconformidad con estos regímenes, las huellas vivas del Holocausto, y el compartido sentimiento de desconfianza y rechazo frente a la consolidación de los sistemas europeos, están presentes en la exhibición.

     

    Fundación PROA, martes a domingo de 11 a 19. Av. Pedro de Mendoza 1929. $ 20.



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  • Título: Italiani in trasferta. Buenos Aires celebra Fabio Mauri con la prima mostra a lui dedicata in Sud America. Ecco le immagini dalla Fundaciòn Proa
    Autor: Artribune
    Fecha: 08/09/2014
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    Non perdiamo mai l’occasione, i lettori più assidui ormai lo sanno bene, di seguire gli artisti italiani impegnati oltrefrontiera con mostre o progetti vari. Ma ci sono occasioni, come questa di cui parliamo, nelle quali lo facciamo con ancor maggiore convinzione: visto che l’”oltrefrontiera” si allunga fino all’Argentina, e soprattutto visto che ad essere coinvolto è un grande protagonista dell’arte italiana del Dopoguerra. Parliamo di Fabio Mauri, e della prima mostra a lui dedicata in Sud America, alla Fundaciòn Proa di Buenos Aires. Curata da Giacinto Di Pietrantonio, direttore della GAMeC di Bergamo, e organizzata in collaborazione con lo Studio Fabio Mauri, la mostra si propone di tracciare un racconto storico critico dell’opera di Mauri, partendo dai disegni, che abbracciano un arco di tempo che va dagli anni 50 fino all’ultima produzione del 2009, e andando avanti con opere oggettuali, schermi, grandi istallazioni (Il Muro Occidentale o del Pianto), performance (Ebrea e Ideologia e Natura) e opere documento. Si è inaugurata ieri, 7 settembre, e andrà avanti fino al prossimo 23 novembre: ma noi ve la illustriamo già da ora con un’ampia fotogallery…

     

    Particolare della mostra Fabio Mauri Fondazione Proa, Buenos Aires, 2014

     

    Galleria fotografica per l'articolo Italiani in trasferta. Buenos Aires celebra Fabio Mauri con la prima mostra a lui dedicata in Sud America. Ecco le immagini dalla Fundaciòn Proa



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  • Título: Web. Fabio Mauri.
    Autor:  Arsomnibus.
    Fecha: 08/09/2014
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  • Título: Web. Fabio Mauri / Fundación Proa.
    Autor: Por redazione
    Fecha: 06/09/2014
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    FABIO MAURI

     

     

    Fundaciòn PROA

    Av. Pedro de Mendoza 1929

    Buenos Aires

    7 settembre – 23 novembre 2013

    Inaugura il 6 settembre per proseguire fino al 23 novembre 2014 la prima mostra dedicata a Fabio Mauri in Sud America, alla Fundaciòn Proa di Buenos Aires, curata da Giacinto Di Pietrantonio, direttore della GAMeC di Bergamo e organizzata in collaborazione con lo Studio Fabio Mauri.

     

    Le sale, di quello che è considerato il più grande museo di arte contemporanea di tutta l’area latino americana, ospiteranno l’esposizione cercando di tracciare un racconto storico critico dell’opera di Fabio Mauri, partendo dai disegni, che abbracciano un arco di tempo che va dagli anni 50 fino all’ultima produzione del 2009 e andando avanti con opere oggettuali, schermi, grandi istallazioni (Il Muro Occidentale o del Pianto), performance (Ebrea e Ideologia e Natura) e opere documento.

     

    “Fabio Mauri è un artista dall’opera complessa e multiforme che comincia e conclude vita e carriera nella città eterna, partecipando all’interessante dibattito culturale nazionale e internazionale che ivi si svolge a partire dal dopoguerra. È qui che, nel 1955, presso la galleria Aureliana, espone i primi disegni di carattere espressionista e informale. È qui che l’amico Pasolini, nel presentarlo, ne evidenzia la“contaminazione del linguaggio” come tratto caratteristico, facendo intuire che è un battitore libero (…..) Mauri non ebbe come unico riferimento, e pratica, di vita e di arte il solo contesto artistico, preferendo muoversi in un ambito culturale più ampio. Le sue frequentazioni non furono limitate ai soli artisti e al loro ambiente, ma allargate a scrittori, musicisti, poeti, registi – da Pasolini a Eco, a Moravia, da Sanguineti a Balestrini, a Savinio, a Calvino (……) Perciò le questioni affrontate da Fabio Mauri non riguardano mai solo l’arte, ma il mondo. La sua opera non è stata letta solo da critici e storici d’arte; per questo, la tensione dell’arte di Mauri fu individuata con anticipo da Pasolini nel disegno germinale di un’opera che, di lì a poco, si sarebbe espressa attraverso forme e modalità diverse: scultura, ready made, pittura, istallazione, performance, teatro, video, film (…….) Intellettualmente complessa, l’arte di Mauri non è mai pensata come discorso di arte per l’arte, come testo fuori del mondo, ma quale scrittura che fa mondo come si conviene all’opera di un artista che vuole, e sa di essere, anche un intellettuale (……) Il fatto che Mauri non potesse essere considerato un artista moderno, e tantomeno postmoderno, che quindi non potesse essere contemplato all’interno di un unico mondo espressivo – nonostante la partecipazione a sei biennali di Venezia e all’ultima Documenta di Kassel– ha fatto sì che si creasse un ritardo nella comprensione del suo lavoro che, fortunatamente, negli ultimi anni sta ricevendo la dovuta attenzione internazionale e di cui, anche questa mostra alla Fondazione Proa, costituisce un tassello.” (Giacinto Di Pietrantonio)



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  • Título: Web. Fabio Mauri - NON ERO NUOVO.
    Autor: Fabiomauri.com
    Fecha: 06/09/2014
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    Fabio Mauri - NON ERO NUOVO

     

    a cura di Giacinto Di Pietrantonio

    Fundación PROA, Buenos Aires, Argentina

    7 settembre - 23 novembre 2014

    inaugurazione 6 settembre

     

    Una selezione di opere di Fabio Mauri, artista italiano di profonda importanza, è presentata per la prima volta in Argentina.

    La mostra, curata da Giacinto di Pietrantonio, è organizzata in collaborazione con lo Studio Fabio Mauri. 



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  • Título: Web. Agenda. CALENDARIO DE EVENTOS LO CLÁSICO EN EL ARTE + FINAL DEL JUEGO + FABIO MAURI @ FUNDACIÓN PROA.
    Autor: bamarte
    Fecha: 06/09/2014
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    Ver nota original (http://bamarte.com.ar/)

    Fabio Mauri
    Instalaciones, dibujos y performances en vivo y en video

     

     

    Del sábado 6 de septiembre a noviembre de 2014.

    Fundación PROA
    Av. Pedro de Mendoza 1929 
    www.proa.org

    PERFORMANCE EN VIVO de Fabio Mauri
    Dos únicos fines de semana: sábados 6 y 13 y domingos 7 y 14 de septiembre - de 18 a 20

    "Ebrea" y "Ideología e Natura"
    El público podrá experimentar la actualización de dos performances fundamentales en la obra del artista.

    "EBREA"
    Frente a un casillero con espejo, tijeras y una máquina de cortar pelo, una joven desnuda se corta mechones de cabello y con ellos compone sobre el espejo la imagen de la estrella de David, que también está escrita también sobre su pecho junto al número que en los campos nazis sustituía el nombre, y con ello, todo signo de identidad.

    Con la figura femenina sola entre objetos mudos, Ebrea es una melancólica performance de la soledad donde la joven mujer habita un pequeño espacio organizado como el museo de un campo de concentración hecho de objetos-esculturas.



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  • Título: Web. Obras de Fabio Mauri / Lo Clásico en el Arte.
    Autor: la guia del ocio
    Fecha: 06/09/2014
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    Ver nota original ( www.laguiadelocio.com.ar.)

    A partir del 6 de setiembre Fundación Proa presenta la temporada con las exhibiciones FABIO MAURI y LO CLÁSICO EN EL ARTE, ambas curadas por Giacinto Di Pietrantonio.

     

     

    Fabio Mauri

    Un panorama antológico de la obra de Fabio Mauri, por primera vez en Sudamérica, en un conjunto de más de 60 obras que profundizan los diversos usos del lenguaje artístico: instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas. Acompaña la exhibición la proyección en el auditorio de sus obras y documentación en video.

     

    Dueño de una obra singular y comprometida de original carácter, imposible de encolumnar como parte de un movimiento, la exhibición reúne obras que confirman esta imposibilidad de clasificación y presenta la riqueza de lenguajes estéticos y recursos, como también el uso de los mismos en su compromiso político social.

     

    Como señala el curador Giacinto Di Pietrantonio a La Guía del Ocio: "En ese territorio lingüístico contagiado de ideología se mueve el arte de Mauri, que intenta desmontar los mecanismos de manipulación propios de cada ideología". O, como sintetizaba el propio artista en el título de uno de sus libros: "El lenguaje es guerra".

     

    Lo Clásico en Arte.

    Intenta presentar la persistente supervivencia en lo contemporáneo de la influencia de la tradición clásica. A través de un amplio conjunto de obras pertenecientes a diversos períodos históricos y un notable conjunto de artistas: Vanessa Beecroft, Kiki Smith, Charles Avery, Valerio Carrubba, Sam Durant, Michelangelo Pistoletto y varios ejemplos de la tradición italiana.

     

    El curador también analiza la apropiación y estudio de las imágenes rescatando copias en yeso de las esculturas clásicas con las que se estudiaba el arte a principios de siglo XX. Notables piezas escultóricas en diálogo con pinturas que también dan cuenta de la copia y de la tradición de los talleres de artistas, es uno de los temas que se propone revisar la exhibición.

     

    En colaboración con la Accademia Carrara y la Galería de Arte Contemporáneo de Bérgamo, junto al patrimonio del IUNA - Museo de Calcos de Buenos Aires, la exhibición presenta más de 60 obras.

     

     Presentación

     

    6 de septiembre – noviembre, 2014 Fundación  Proa.



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  • Título: Diario. Los desastres del presente.
    Autor: Diego Erlan
    Fecha: 06/09/2014
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    Ver nota original (Revista Ñ - Clarín)

    Jeff Koons es como el capitalismo: absorbe críticas para transformarlas en discurso. El mismo artista que en la década del 80 montó un enorme afiche en la fachada del Whitney Museum en el que se anunciaba el estreno de una película porno protagonizada por él mismo y su mujer de entonces, la Cicciolina ( Made in heaven ), presenta hasta fines de septiembre, en ese mismo lugar, una retrospectiva de su obra. Un Michael Jackson de porcelana, una pelota de básquet que flota en una pecera de cristal como lo hacen diversas aspiradoras domésticas. “Koons es el avatar de una nueva forma de arte y un nuevo mundo del arte, ambos de los cuales él mismo ayudó a crear”, escribió Eric Gibson en la revista conservadora The New Criterion. Gibson considera que la obra de Koons parece extrañamente fuera de lugar en el Whitney y evidencia un problema: “Es como si Koons no tuviera suficientes ideas para sostener una retrospectiva a esta escala”. Peter Schjeldahl, en The New Yorker, no piensa igual. Entiende que ningún otro artista como Koons es tan presto a una caricatura de sí mismo y de su fama y de su riqueza, “pero la burla se hace difícil cuando uno se acerca a la obra con una mirada abierta y entonces descubre la formidable inteligencia estética de Koons”. Arquetipo del artista empresario, apasionado vendedor de humo y de sí mismo, aplicó su creatividad en la construcción de un perro de globos brillantes cuya venta por más de 58 millones de dólares lo llevó a convertirse en artista récord.

     

     

    Puppy , el enorme cachorro con plantas florecidas que supo diseñar Koons para el Guggenheim de Bilbao, en algún punto se conecta con el arte povera de Michelangelo Pistoletto, cuya obra La Venus de los harapos (1967) podrá verse en “Lo clásico en el arte”, la muestra que Proa inaugura este sábado. Sobre esta especie de junk sculpture , Pistoletto señaló que su intención fue “unir la belleza del pasado y el desastre del presente”. Podríamos pensar, como Will Gompertz, que esta Venus rodeada de andrajos es una obra que critica con vehemencia la cultura del consumo superficial, pero adquiere otro valor para el espectador cuando éste se entera de que la imagen idealizada de la diosa es, en realidad, una reproducción barata basada en una estatua que el artista se encontró en un almacén de jardinería. De Koons a Pistoletto, el espectador puede ser testigo de un singular diálogo que tiene como eje al liberalismo existencial.



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  • Título: Revista. Fabio Mauri en Fundación Proa.
    Autor: Revista Olfa
    Fecha: 05/09/2014
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    Ver nota original (Revista Olfa)

    Un panorama antológico de la obra de Fabio Mauri, por primera vez en Sudamérica, en un conjunto de más de 60 obras que profundizan los diversos usos del lenguaje artístico:  instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas. Acompaña la exhibición  la proyección en el auditorio de sus obras y documentación en video. La exhibición cuenta con la curaduría de Giacinto Di Pietrantonio y se organiza junto con Studio Fabio Mauri. 

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  • Título: Web. Fabio Mauri and The Classical in Art.
    Autor:  E-flux
    Fecha: 05/09/2014
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    On September 6, the exhibitions Fabio Mauri and The Classical in Art will open at Fundación Proa. Both shows are curated by Giacinto Di Pietrantonio.

     

    Fabio Mauri

    This exhibition, which features over 60 works, provides the first anthological overview of Fabio Mauri’s art to be seen in South America. The works selected delve into the different uses of artistic language. They encompass the media of installation, video, performance, drawing, and painting. In conjunction with the exhibition, video documentation and other works will be screened in Proa’s auditorium.

    Fabio Mauri is the author of a unique and committed body of original work that cannot be categorized as part of any single movement. This exhibition brings together works that affirm the unclassifiable nature of his art as well as the wealth of aesthetic languages and resources he has used to explore political and social issues.

    What is Fascism?, Jewish Female, Ideology and Nature, performances, and the striking The Western or the Wailing Wall give shape to a thoughtful and devastating vision. This exhibition evidences Mauri’s sharp criticism of totalitarian ideologies, the living traces of the Holocaust, and the widespread sense of mistrust and rejection in response to the consolidation of European systems.

    As curator Giacinto Di Pietrantonio states: “Mauri’s art circulates in a linguistic terrain tainted by ideology. He attempts to disassemble the mechanisms of manipulation innate to any ideology.” As Mauri himself put it in the title of one of his books, “language is war.”

    The Classical in Art

    This exhibition attempts to evidence the ongoing influence of the classical tradition in the contemporary. It encompasses a wide range of works from different historical periods by an impressive group of artists: Vanessa Beecroft, Kiki Smith, Charles Avery, Valerio Carrubba, Sam Durant, Michelangelo Pistoletto, and others from the Italian tradition like Jacopo Negretti, also known as Palma il Giovane, and Vittore di Matteo, known as Vittore Belliniano. 

    The curator analyzes the appropriation and examination of images by means of plaster copies of classical sculptures used to study art in the early 20th century. The exhibition features striking sculptures and addresses how they dialogue with paintings that attest as well to the copy and the tradition of artists’ studios.

    In a collaborative effort between Fundación Proa, the Accademia Carrara, and the Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, the exhibition—which features over 60 works—includes pieces from the Museo de Calcos de Buenos Aires.

    Further information here.

    Fundacion Proa is sponsored by Tenaris – Organización Techint on a permanent basis.

     

    For additional information, images or interview requests, please contact: 

    prensa@proa.org or T +54 911 4104 1043/4



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  • Título: Agencia. Nuevo diálogo entre lo clásico y la vanguardia. 
    Autor: Dolores Pruneda Paz
    Fecha: 05/09/2014
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    Ver nota original (Télam)

    "Fabio Mauri" y "Lo clásico en el arte" son las exhibiciones que desde mañana pueden visitarse en Proa, la primera reúne piezas inéditas en Sudamérica de Mauri, el intelectual vanguardista que cuestionó duramente los totalitarismos europeos; y la segunda se enfoca en la persistencia de la forma clásica en el tiempo, con 60 obras del siglo XVI al XXI que hacen dialogar presente y pasado.

     

     

    Curadas por el italiano Giacinto Di Pietrantonio, ambas muestras podrán verse hasta noviembre en el edificio que corona la Vuelta de Rocha frente al Riachuelo, situado sobre avenida Pedro de Mendoza 1929.

     

    Se trata de un ecléctico circuito que en planta baja despliega el clasicismo de óleos, esculturas e instalaciones, desde un calco de "La piedad" de Miguel Angel prestado por el museo La Cárcova y una voluptuosa Madalena penitente pintada en 1610 hasta la "Pira mujer arrodillada" que Kiki Smith esculpió con desenfado en 2002-; y que escaleras arriba interpela al espectador con la belleza estática de las performances, dibujos y objetos de Mauri (1926-2009).

     

    En el segundo piso, una joven ataviada con una capa, cancanes y un sombrerito que emula el uniforme fascista se desviste y vuelve a vestirse parsimoniosamente.

     

    Una pared de valijas y baúles divide la sala; en el otro extremo, una mujer desnuda se corta el pelo frente a un espejo y con los mechones arma una estrella de David; delante, un caballo con "riendas de piel judía" enmarca la acción, acompañado por una macabra colección de objetos como la "verdadera cera judía".

    Nacido en Roma en 1926 en pleno fascismo -"todo era fascista hasta la luna y el sol", grafica el especialista Ivan Barlafante- Mauri atravesó una fuerte crisis de conciencia antes de los 20 años al comprobar la matanza de judíos, muchos de ellos amigos, que lo llevó a guardar tres años de silencio absoluto en una internación psiquiátrica que incluyó sesiones de electro-shocks en pos de su recuperación.

     

    "Lo que no perdonó es que nuestros padres hubieran sabido lo que estaba ocurriendo en Alemania, es como lo que ocurrió aquí durante la dictadura", dice a Télam su hermano Achille, quien fue uno de los productores del filme 'Garage Olimpo'". 

     

    "Cuando a sus 18 años seis soldados armados mataron el cerdo que teníamos en casa para comerlo, él fue a cubrirlo con un mantel, y aunque nuestra madre no quería que lo hiciera para protegerlo él dijo que estaba llevando a cabo una acción artística; y ahí comenzó ese período complejo del que finalmente emergió con estas obras", rememora.

     

    "Esas valijas nunca viajaron -señala Achille el muro construido con equipaje de judíos deportados a campos de concentración, presentado en la Bienal de Venecia en 1993-. Fijate que tienen direcciones (se lee 'Málaga', 'Londres', leyendas como 'keep dry'), esos cilindros de cartón son los que les daban para que guarden sus pertenencias con el engaño de que se las enviarían a los domicilios adonde las remitieran".

     

    Mientras que de una manera que recuerda a la imposibilidad de hacer arte tras el Holocausto, planteada por Walter Benjamin, o en un paralelismo a lo que el arte pop hizo de los objetos de consumo al convertirlos en íconos, Mauri convirtió la tela en algo parecido a una pantalla cinematográfica, que exploró como vacío y como productor de pensamiento, agrega el curador Di Pietroantonio.

     

    A un lado, 40 pantallas en blanco cubren una de las paredes de la sala, frente a una gigantografía que capta una escena de "¿Qué cosa es el fascismo?", la intervención que Mauri realizó junto a su amigo Pier Paolo Pasolini, que convive con las performances "Ideología y naturaleza" y "Ebrea" que este fin de semana y el próximo se realizarán de 18 a 20, así como los filmes que se proyectarán en el Auditorio de Proa.

     

    Según Di Pietroantonio, "lo que Mauri buscó, guiado por el interés de generar el debate social, fue definir los lenguajes del siglo XX más productores de ideología y el lenguaje de la media con los que trabajó en textos, diseño y producción de objetos y sobre los que a la vez reflexiona como artista e intelectual".

     

    Desde el principio se expresó a través de formatos y soportes variados como el ready made, el ensayo, el teatro o el video, con los que "transitó un camino de intensa experimentación enmarcado en una búsqueda estética y polí­tica" que "escapó a los movimientos artí­sticos de época" y constituyó "una reflexión aguda y desoladora de las ideologí­as totalitarias y el lenguaje artístico".



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  • Título: Web. Nuevo diálogo entre lo clásico y la vanguardia. 
    Autor: Dolores Pruneda Paz
    Fecha: 05/09/2014
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    Ver nota original (Hoy Santa Cruz Online.)

    “Fabio Mauri” y “Lo clásico en el arte” son las exhibiciones que desde mañana pueden visitarse en Proa, la primera reúne piezas inéditas en Sudamérica de Mauri, el intelectual vanguardista que cuestionó duramente los totalitarismos europeos; y la segunda se enfoca en la persistencia de la forma clásica en el tiempo, con 60 obras del siglo XVI al XXI que hacen dialogar presente y pasado.

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  • Título: Nuevas expos en Proa: Mauri y Lo clásico en el arte.
    Autor: Cristina Civale
    Fecha: 04/09/2014
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    Ver nota original (Jaque al arte)

    Dos nuevas muestras abren este sábado en Proa. Una es un panorama antológico de la obra de Fabio Mauri que llega por primera vez a Sudamérica. Es un conjunto de más de 60 obras que profundizan los diversos usos del lenguaje artístico: instalaciones, videos, performances, dibujos y pinturas. Acompaña la exhibición la proyección en el auditorio de sus obras y documentación en video.

     

    Dueño de una obra singular y comprometida de original carácter, imposible de encolumnar como parte de un movimiento, la exhibición reúne obras que confirman esta imposibilidad de clasificación y presenta la riqueza de lenguajes estéticos y recursos, como también el uso de los mismos en su compromiso político social.

    ¿Qué cosa es el fascismo?, Ebrea, Ideología y naturaleza, performances y la notable obra El Muro Occidental o de los Lamentos, componen un panorama reflexivo y desolador. Su aguda crítica a las ideologías totalitarias, las huellas vivas del Holocausto, y el compartido sentimiento de desconfianza y rechazo frente a la consolidación de los sistemas europeos, están presentes en la exhibición.

    Como señala el curador Giacinto Di Pietrantonio: “En ese territorio lingüístico contagiado de ideología se mueve el arte de Mauri, que intenta desmontar los mecanismos de manipulación propios de cada ideología”. O, como sintetizaba el propio artista en el título de uno de sus libros: “El lenguaje es guerra”.

    La otra muestra, Lo clásico en el arte, intenta presentar la persistente supervivencia en lo contemporáneo de la influencia de la tradición clásica. A través de un amplio conjunto de obras pertenecientes a diversos períodos históricos y un notable conjunto de artistas: Vanessa Beecroft, Kiki Smith, Charles Avery, Valerio Carrubba, Sam Durant, Michelangelo Pistoletto y varios ejemplos de la tradición italiana.

    El curador también analiza la apropiación y estudio de las imágenes rescatando copias en yeso de las esculturas clásicas con las que se estudiaba el arte a principios de siglo XX. Notables piezas escultóricas en diálogo con pinturas que también dan cuenta de la copia y de la tradición de los talleres de artistas, es uno de los temas que se propone revisar la exhibición.



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